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7 marzo 2006

Fassino: Accetto la sfida delle imprese

di Alberto Orioli

«Trovo largamente condivisibile l'analisi di Montezemolo».

Piero Fassino, segretario dei Ds commenta così l'intervista al presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, pubblicata domenica sul Sole 24 Ore.

La condivide anche quando dice che non c'è ricchezza da redistribuire ma solo da creare ex novo?
Oggi il tema è come far ricominciare a crescere l'Italia: se si continua con la crescita zero e con questo indebitamento della finanza pubblica, non saremo in grado neppure di mantenere l'attuale assetto del Paese.

Bertinotti però dice che la ricetta Montezemolo è lontana dall'Unione.
Se il buon giorno si vede dal mattino...

Sono parole che non hanno molto senso perché Bertinotti per primo ha salutato positivamente il recupero della concertazione nel programma dell'Unione. E non si può pensare di concertare solo a senso unico.
Confermo: io trovo che nel manifesto degli imprenditori ci siano molti temi affrontati anche dall'Unione nel suo programma. In ogni caso bisogna prendere atto che i prodiani, i Ds e la Margherita sono oltre l' 80% della coalizione.
Nell'azione di Governo, giorno per giorno, cercheremo sempre il massimo del consenso e della convergenza di tutti ma, alla fine, se non si troveranno intese, occorrerà che ciascuna forza politica si assuma le proprie responsabilità e, quindi, dovrà prevalere un criterio di maggioranza.

Qual è dunque la vostra terapia?
È evidente che serve una terapia d'urto per la crescita. Serve capacità di aggregare tutte le forze produttive dell'Italia, per ridare energia al Paese, per ritrovare quel clima giusto di fiducia nel quale ciascuno senta di poter contribuire con il proprio apporto di intelligenza e di volontà alla rinascita dell'Italia.

Draghi dice che il declino non è inevitabile.
Sì, ma dopo aver richiamato la criticità della situazione economica e l'urgente necessità di un cambio di marcia. Avverto — senza per questo voler " arruolare" il Governatore in questo o quello schieramento — grande consonanza del Centro sinistra con l'analisi di Mario Draghi. L'Italia può ripartire rapidamente, ma serve una politica di innesti forti di fiducia e di rilancio.

Montezemolo propone innanzitutto un taglio al costo del lavoro di 10 punti in 5 anni. Lei è d'accordo?
È certo una misura necessaria per far crescere la competitività delle imprese. Prodi ha detto chiaramente che noi pensiamo di ridurre il cuneo fiscale di 5 punti già dal primo anno di legislatura. Le imprese chiedono 10 punti in cinque anni: le due impostazioni sono compatibili, una volta raggiunto l'obiettivo dei primi cinque punti, si potrà continuare. La prendiamo come un'ulteriore sfida per il Governo.

Che ne dice del Patto fiscale proposto da Epifani?
Epifani ha collocato la discussione congressuale della Cgil su un profilo non strettamente sindacale. La Cgil, dagli anni 70 a oggi, ha sempre dimostrato di saper contribuire agli sforzi del Paese. E anche questa volta dà il suo contributo. Non ho riscontrato alcun atteggiamento massimalista. Tutto sommato il patto fiscale di Epifani non è molto distante dalle proposte di Montezemolo. E del resto i vantaggi del taglio agli oneri contributivi beneficeranno imprese e lavoratori.

In che misura?
Nella misura che decideranno le parti sociali insieme al Governo.

Dato lo stato dei conti, dove si troveranno le risorse?
Per noi resta prioritario rimettere ordine nei conti pubblici e riportare il deficit sotto il 3 per cento. E siamo così consapevoli di questa priorità che affideremo a un organismo esterno la certificazione dello stato effettivo dei conti. Ci sono molti segnali che ci fanno temere di ereditare un indebitamento in realtà superiore al già negativo stato dei deficit e del debito attuali.
Credo tuttavia che politica di risanamento e politica di sviluppo non potranno essere in due tempi separati. Ed è fondamentale sostenere entrambe con una strategia efficace di recupero dell'elusione contributiva e dell'evasione fiscale. Lo ha detto Montezemolo, lo diciamo noi. E non è propaganda: basterebbe far uscire allo scoperto il 30% del sommerso per avere un risultato di finanza pubblica straordinario visto che il " nero" è stimato nel 25% del Pil.

Draghi ha confermato che l'Italia è in ritardo nell'adeguare le sue produzioni alle tecnologie. La Confindustria punta sul credito d'imposta per la ricerca.
Lei è d'accordo?

Aumentare la specializzazione tecnologica e produttiva delle imprese è decisivo per vincere la sfida della competitività, rilanciare le esportazioni, conquistare nuovi mercati. Nel nostro programma è prevista la defiscalizzazione al 50% degli investimenti per l'innovazione. È la stessa proposta che fa Montezemolo.

Che ne pensa della detassazione delle ore di straordinario?
Credo che sia importante promuovere un nuovo regime degli straordinari che ne consenta un utilizzo più rapido e tempestivo, mentre la defiscalizzazione totale comporta oneri e rischi su cui è necessario un ulteriore approfondimento.

La legge Biagi sul mercato del lavoro per alcuni partiti dell'Unione va abolita. Per la Cgil anche. Prodi parla di revisione profonda. E lei?
Non c'è dubbio che la cifra del mercato del lavoro moderno è la flessibilità. La globalizzazione la impone. Ma questo non deve significare una condizione di perenne precarietà per un lavoratore: non è nemmeno interesse delle imprese avere occupazione precaria e non di qualità o poco fidelizzata. Per questo occorre integrare la legge Biagi con un efficiente sistema di ammortizzatori sociali, con politiche formative che consentano ai lavoratori di avere un bagaglio di conoscenze aggiornate ed essenziali per affrontare la mobilità del lavoro, con forme di tutela per i redditi più bassi, cui dovremo affiancare politiche che rendano più agevoli trasporti e mobilità delle residenze.

Il Sud. Una priorità?
Il Mezzogiorno sarà la nuova frontiera dello sviluppo così come lo è stata durante i Governi del Centro sinistra: dal ' 96 al 2001 il Sud è cresciuto a tassi più alti della media nazionale. Durante il Governo di Centro destra questa spinta si è esaurita. Proponiamo fiscalità di vantaggio — che va negoziata con la Ue — e di reintrodurre i crediti d'imposta. È strategico anche un piano di grandi investimenti che faccia leva sulla portualità — e investa su reti viarie e ferroviarie ad essa collegate — facendo del Mezzogiorno la porta d'ingresso delle merci provenienti in Europa dall'Oriente. Infine il turismo: è un settore strategico che può avere grandi potenzialità se ben incentivate, promosse e organizzate.

Liberalizzazioni. Quali?
Non ci stancheremo di dire che servono misure di liberalizzazione per le professioni, i settori protetti, le utilities.

E le per le reti? Di chi dovrà essere la proprietà, pubblica o privata?
Bisogna promuovere la separazione tra gestione delle reti e quella dei prodotti. Il nostro modello è la liberalizzazione Bersani delle ferrovie: oggi — fatto poco conosciuto ma importante — sulla rete ferroviaria pubblica viaggiano anche vettori ferroviari privati. Per questo sono favorevole alla separazione tra Eni e Snam Rete Gas e credo che l'Eni debba concentrarsi sul prodotto, incrementando il suo business e le sue dimensioni non perchè detiene la rete. Comunque è opportuno tenere conto anche di valutazioni sociali o d'interesse nazionale. Le reti dell'acqua, per fare un esempio, è preferibile che siano pubbliche.

Che ne dice della guerra Enel Suez?
La piccola guerra energetica tra Francia e Italia dimostra solo che c'è ancora troppo poca Europa e non troppa. È una ben fragile difesa la tentazione neoprotezionista di fronte all'interdipendenza dei mercati e alla globalizzazione. Con concorrenti come Cina e India si può competere solo se l'Europa gioca la sua dimensione continentale con 450 milioni di abitanti e mette a fattore comune l'enorme potenziale tecnologico, produttivo e finanziario delle economie di tutti i suoi Paesi.

Le banche italiane sono piccole. Draghi le ha invitate a fondersi. Quali sono le aggregazioni ideali?
Se si guarda alla capitalizzazione delle prime 30 banche europee e la si confronta con quelle italiane, si vede che le nostre sono circa un terzo più piccole rispetto alle concorrenti di Spagna o Francia, o Germania. Ha ragione Draghi: servono nuove integrazioni per creare in Italia poli bancari di dimensioni adeguate, perché solo così le banche italiane saranno non solo contendibili, ma in grado anche di contendere.



 

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