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22 novembre 2006

Il dilemma della Chiesa sull'uso del preservativo: fino a che punto è accettabile il principio del male minore?

di Massimo Donaddio

L’argomento è di quelli che scuotono le coscienze e dividono l’opinione pubblica, sia laica che credente. La posizione della Chiesa cattolica sulla liceità morale dell’utilizzo del preservativo, particolarmente nei Paesi del Terzo Mondo, dove la diffusione di malattie trasmissibili anche per via sessuale è molto frequente, è da lungo tempo al centro di un aspro dibattito. La Chiesa è contestata perché non farebbe abbastanza per aiutare le popolazioni africane a proteggersi contro terribili malattie infettive come l’Aids, in quanto irrimediabilmente ostile proprio alle precauzioni nei rapporti sessuali, e in particolare all’uso dei condom. Ma sarebbe errato considerare la proibizione vaticana come cristallizzata per sempre: il dibattito, anzi, ferve da gran tempo dietro le posizioni ufficiali della Santa Sede e viene spesso animato e rinfocolato da importanti personalità della Chiesa, che si sono più volte espresse a favore di un'apertura, seppur vigilata e limitata ai casi più “sensibili”. La notizia che il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute ha prodotto un ampio studio sull’efficacia e la liceità morale (dal punto di vista cattolico) dell’uso del preservativo nella lotta all’Aids – e che questo studio è stato commissionato direttamente da papa Benedetto XVI – suscita curiosità e attenzione, anche se non giunge in maniera del tutto casuale e inaspettata. La predicazione della Chiesa si è spostata, recentemente, sulla difesa della vita dal suo concepimento fino alla morte naturale, lasciando più in ombra le questioni legate a preservativo e anticoncezionali (sulle quali la sensibilità degli stessi fedeli e di molti parroci, in generale, si è molto attenuata). Il teologo della Casa Pontificia, il cardinale svizzero George Cottier, negli ultimi scampoli del pontificato di Giovanni Paolo II, aveva aperto all’uso del condom per le persone affette da Aids, mentre un’autorevolissima figura come il cardinale Carlo Maria Martini, dialogando con l’Espresso, precisava il ragionamento in questi termini: «Bisogna fare di tutto per contrastare l’Aids. Certamente l’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore. C’è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da Aids. Costui è obbligato a proteggere l’altro partner e questi pure deve potersi proteggere. Ma la questione è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa l’astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un atteggiamento irresponsabile. Altro è dunque il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere tali cose pubblicamente». La posizione di Martini è precisamente quella al vaglio delle autorità vaticane: il documento, che dovrà tenere in conto gli aspetti tecnici e scientifici del problema, così come le implicazioni morali, è ora all’attenzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (della quale era responsabile, prima dell’elezione a pontefice, proprio Joseph Ratzinger), alla quale spetta dare un giudizio fondamentale perché le indicazioni dello studio vaticano possano essere messe in pratica. Ultimo gradino, inappellabile, da considerare: la volontà e la decisione in coscienza del Papa. Il giudizio personale di Benedetto XVI, finora, a quanto si sa, è rimasto fedele alla dottrina tradizionale sancita dalla discussa enciclica di papa Paolo VI “Humanae Vitae”, che ritiene inaccettabile in ogni caso il principio del “male minore” (preservativo per proteggere la vita in pericolo). L’autorevole rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”– vistata dalla Segreteria di Stato vaticana – nel numero del 6 maggio 2006, ribadiva ancora la posizione tradizionale della Chiesa in materia.

Ma il dibattito, a piccoli passi, procede, al di fuori ma anche all’interno delle posizioni ufficiali. Di fatto il tema specifico della prevenzione delle malattie infettive o delle pandemie non è mai stato direttamente trattato dalla dottrina ufficiale, ed è possibile che, nelle pieghe dei documenti della Santa Sede, ci sia la possibilità di prevedere un’apertura in questo senso. La Chiesa non si nasconde il problema dell’Aids e dei suoi quaranta milioni di malati: numerose strutture cattoliche sono da tempo impegnate sul campo ad alleviare le condizioni di sofferenza di molti ammalati (vedi la fondazione vaticana “Il Buon Samaritano”), specialmente in Africa. Proprio da domani fino a sabato 530 esperti parteciperanno in Vaticano alla conferenza internazionale sulla “Aspetti pastorali della cura delle malattie infettive”. Tuttavia il salto di qualità, nella posizione ufficiale della Chiesa, può arrivare solo da un nuovo riesame dei principi che ispirano la prassi pastorale cattolica: se l’enciclica “Humanae Vitae” riteneva inseparabile l’aspetto unitivo/affettivo della relazione sessuale dall’aspetto procreativo, l’alternativa è quella della valorizzazione del rapporto coniugale in se stesso come la più profonda espressione dell’amore umano, a maggior ragione quando si possono presentare gravi rischi per la vita dei coniugi, ma non si vuole condannare una coppia a porre per sempre una barriera (fisica e quindi anche psicologica) tra marito e moglie.


LINK UTILI
Catechismo della Chiesa Cattolica
Compendio della Dottrina sociale della Chiesa
Concilio Vaticano II - Costituzione pastorale "Gaudium et Spes" sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (1965)
Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione "Donum Vitae" (22 febbraio 1987)
Esortazione apostolica "Familiaris Consortio" di Papa Giovanni Paolo II (22 novembre 1981)
Lettera Enciclica "Humanae Vitae" di Papa Paolo VI (25 luglio 1968)

Invia una emailmassimo.donaddio@ilsole24ore.com



 

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