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La culla dell'estremismo: nero, rosso, secessionista

di Mariano Maugeri

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16 febbraio 2007

Chi vuole conoscere il Nord Est è da Padova che deve passare: l'hanno capito le merchant bank, le case d'asta internazionali, gli avvocati d'affari, le rappresentanze consolari. E l'avevano capito pure gli agitprop, quelli che a Padova volevano farci la rivoluzione, per sovvertire, incrinare,minare alla radice il dominio capitalistico, ma sempre mimetizzandosi dietro professioni e ruoli apparentemente ineccepibili. Come se la città li obbligasse ad accettare quelle regole formali che a partire dalle professioni definisce ruoli e pesi sociali: quando, nel lontano '63, l'avvocato fascista Franco Freda avvia la sua attività di editore di nicchia con le Edizioni Ar, Toni Negri, precocissimo dirigente dell'Azione cattolica, occupa uno scranno del consiglio comunale nelle fila del partito socialista. Freda e Negri, a quell'epoca, erano due gemelli separati: borghesi, rispettabili, colti, sobillatori fascinosi in carriera. Uno maneggia con destrezza Spinoza, Heidegger e Deleuze; l'altro Evola e Nietsche.Ma è da allora che la domanda si ripete meccanicamente ogni volta che si compiono i cicli della lotta armata immaginata e praticata, un percorso che si snoda dal Fuan di via Zabarella (che Freda dirigeva da liceale) fino ai centri sociali Pedro e Gramigna, passando per la voce carbonara degli speaker di radio Sherwood, il megafono dell'autonomia operaia rincantucciato in vicolo Pontecorvo, tra la Questura e il teatro Ruzante:perché sempre a Padova?
Non finisce con gli opposti estremismi, non è solo l'eterno conflitto tra il rosso e il nero che s'intrecciano nell'apparente paciosa e laboriosa città del Santo. Tra l'arresto di Freda e Ventura per le stragi fasciste (1972),il teorema Calogero e il 7 aprile del ' 79,un gruppo di incalliti venetisti guidati da Franco Rocchetta cominciano a riunirsi all'istituto linguistico Bertrand Russell, allora in via Cavour, per inaugurare un corso di cultura e lingua veneta con la supervisione del glottologo Manlio Cortellazzo, che qualche tempo dopo,intuita la vera natura di quegli incontri, prenderà le distanze. Era il novembre del 1978. Il primo nucleo della Liga veneta nasce così. Umberto Bossi, qualche anno dopo,non farà altro che imbrigliare i litigiosi lighisti con il partito unico lombardo. Freda e Negri finiranno in galera. Idem i brigatisti della Fiom. Gli eredi secessionisti che prenderanno i voti dei democristiani saranno invece colonizzati dai lumbard, più lesti e pragmatici. I fuochi irredentisti, insurrezionalisti e pateticamente rivoluzionari condannati sempre alla marginalità.
Certe coincidenze,però,anche quelle della toponomastica,colpiscono: l'istituto Russell è a pochi metri dal Listòn,la passeggiata del cuore di Padova che unisce Piazza Garibaldi al Prato della Valle; poche centinaia di metri c'è l'acciottolato di via del Santo e la facoltà di Scienze politiche del professor Negri,e poco più in là via Zabarella e la sede del Fuan dei duri e puri di estrema destra. In pochi metri i destini di tre gruppi di rivoluzionari si sfiorano ogni giorno. Padova città lievito di estremismi, nazionalismi e rivolte. Come se la capitale del NordEst contenesse tante altre padove che invece di includere escludono. L'università qualcosa deve centrarci. Lo sapevano bene i Dogi che nel '200 decisero all'unanimità che l'ateneo —terreno di coltura di teste calde di ogni risma — sarebbe nato lontano dall'ombelico del potere. La stessa scelta che poi farà Milano (con l'università a Pavia) e Firenze (con l'ateneo a Pisa).
Gli storici padovani ricordano che Sant'Antonio di Padova (ma in realtà era di Lisbona) —ormai a capo di un miracolificio senza confini geografici — mise la sua lingua di oratore tagliente al servizio di borghesi e commercianti taglieggiati dagli usurai, a quell'epoca una casta sociale radicata che impediva l'emersione del ceto produttivo. Pure l'icona sacra di questa città non era affatto accomodante. Un'icona con una storia che contrasta con quella di una città cattolica, conservatrice e moderata. Ma è inutile andare così indietro nel tempo.
Gli anni 70 seminano odio e terrore. Ricorda Silvio Lanaro, ordinario di Storia contemporanea a Lettere:«Io ero accolto da due ali di autonomi che appena entravo in facoltà mi sputavano addosso. Tra loro c'era Claudio Latini, uno dei brigatisti arrestati qualche giorno fa. Furono anni tremendi. Un giorno ricevetti una telefonata. All'altro capo del telefono una voce diceva: ho visto i tuoi figli. Sai che hanno belle gambe?». Un giorno saltò in aria anche l'istituto giuridico di via Stampa: la facoltà di Scienze politiche chiuse per sei mesi, la borghesia, terrorizzata, si rintanò in un centro storico punteggiato da dimore patrizie avvolte in una bolla di quiete senza tempo, lo speaker di radio Sherwood, con voce luttuosa, diffondeva brani di «Dominio e sabotaggio »di Negri.
Da allora,sembrava che il risentimento ambivalente che la città riversò verso l'ateneo tendesse a scemare. Negli anni 90 Padova diventa la capitale naturale del policentrico NordEst. Una specie di Milano iperproduttiva, ipercinetica e terziaria. Solo qualche scricchiolìo di tanto in tanto, come quando il rettore dell'università, Giovanni Marchesini, un borghese con la schiena dritta, si sfogò con il «Sole24 Ore»: «Questa città ci usa ma non ci vuole». Era il 2001.Lanaro,sei anni dopo,la pensa allo stesso modo: «La frattura tra città e ateneo non si è mai ricomposta: 66mila studenti per 204mila abitanti,un rapporto così non c'è neppure a Pisa. E poi i giovani che arrivano da ogni parte d'Italia sono portatori degli odii e delle frustrazioni di tutto il Paese».

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