Sembra un lontano miraggio, ma le potenzialità ci sono. L’industria del turismo in Italia potrebbe raggiungere nel 2020 un’incidenza sul Pil nazionale del 17,4 percento. È quanto risulta da uno studio della società di consulenza Bain Company, al quale il Rapporto Turismo del Sole 24 Ore in edicola lunedì 19 febbraio dedica la storia di copertina. “I consumi totali di turismo nel 2005 – spiega Vincenzo Gringoli, partner di Bain – sono stati pari a 164 miliardi di euro con un peso dell’11,6% sul Pil, ma è indubbio che se si creasse un volano di investimenti il ritorno in termini di crescita ci sarebbe. Gli esempi non mancano e i più evidenti sono quelli di competitor come Turchia e Grecia, che negli ultimi 15 anni hanno conosciuto incrementi medi annui che vanno dal 10 al 15%”. Si tratterebbe di compiere uno straordinario sforzo collettivo pubblico-privato, facendo leva sul recupero dello scorso anno, che ha visto un aumento delle presenze internazionali in Italia del 5 percento.
“È un settore importante – sostiene Gringoli – cresciuto dal 1990 al 2005 un pò più del Pil nazionale e viste le risorse potrebbe assicurare un forte contributo allo sviluppo dell’Italia”. Una crescita che finora è stata frenata da una serie di punti deboli. L’analisi evidenzia una lentezza negli investimenti, un’offerta inadeguata, infrastrutture sottoutilizzate, una formazione manageriale scarsa e un sistema di promozione nazionale arretrato rispetto a quello di competitor più reattivi. Aspetti che hanno contribuito a far scendere l’Italia dalla prima posizione mondiale negli anni 70 all’attuale quinto posto.
Pur riconoscendo l’Italia leader in Europa a livello di presenze nelle strutture ricettive, con 355 milioni nel 2005, superando di 2 milioni le performance della Spagna, Bain Company evidenzia che le presenze nelle strutture ufficiali sono rimaste invariate negli ultimi 5 anni e la componente straniera è bassa: 40% contro il 60 della Spagna. “Occorre sviluppare gli intermediari di incoming – avverte lo studio – creare nuovi motivi di visita per potenziali turisti, migliorare le strutture ricettive e riorganizzare la promozione”. Queste aree di intervento potrebbero assicurare un riscatto formidabile al nostro Paese e permetterebbero di registrare 545 milioni di presenze nel 2020 nell’ipotesi più ottimistica.
Fenomeno che si rifletterebbe anche sull’occupazione nel comparto: “Dalla nostra analisi – spiega Gringoli – il settore passerebbe dagli attuali 1,2 milioni di addetti a 1,7 al 2020, pari a 500 mila occupati in più”. Sul fronte ricettivo a pesare è la scarsa presenza di operatori alberghieri di grandi dimensioni (solo il 4,5% degli hotel fa capo ad una catena), che si riflette sui tassi di occupazione e sulla capacità di usare la leva prezzo. E se Francia e Spagna nel periodo 1995-2005 hanno raddoppiato le presenze straniere, l’Italia ha perso quote percentuali (dal 17,8% al 16,7%) , in particolare dalla Germania - che rappresenta oltre il 30% delle presenze incoming - e senza sfruttare adeguatamente altri mercati potenziali.
Il problema del sottodimensionamento aziendale riguarda poi sia le catene alberghiere che i tour operator. Il primo operatore italiano non fattura più del 15% di quanto produce il leader europeo e i primi 4 gruppi turistici del Vecchio Continente superano, da soli, i 3 miliardi di euro di ricavi. Nella classifica delle prime 50 catene alberghiere mondiali c’è la presenza di 9 gruppi spagnoli e francesi, mentre bisogna saltare al 120° posto per trovare la principale catena italiana.