Caro direttore, l'Italia si conferma uno strano Paese. Un Paese in cui una grande compagnia petrolifera ha deciso di lanciare una forte campagna ambientalista e progressista — ripresa e amplificata da tutti i giornali — contro l'uso della cravatta,ritenuta la vera responsabile dell'inquinamento ambientale. Questi "petrolieri ambientalisti" hanno trovato anche uno slogan suggestivo: l'Eni si toglie la cravatta, nell'intento di indurre i cittadini a comportamenti virtuosi e ridurre così l'emissione dei gas serra. Ecco qua. Finalmente ci viene proposto qualcosa di concreto per salvare il pianeta! Possiamo tranquillamente continuare con i nostri stili di vita, usando le automobili, consumando combustibili, riscaldando e refrigerando a piacimento le nostre abitazioni e così via. A una condizione, però: che mentre consumiamo non indossiamo la cravatta.
Si fa appello a tutte le grandi aziende perché prendano esempio. Il presidente della commissione Ambiente della Camera plaude all'iniziativa anticravatta e auspica che questa svolta ambientalista venga attuata in tutti i posti di lavoro.
Il ministro non solo approva, ma ha «già dato indicazione di non mettere giacca e cravatta» negli uffici del ministero.
Wwf e Legambiente si rallegrano entusiasti. Qualcuno più ispirato degli altri sta già pensando di organizzare un "no cravatta day" in Parlamento.
A dire il vero c'era già stato qualcuno che nel rilanciare il business automobilistico italiano aveva dato il "buon esempio", presentandosi alle riunioni senza cravatta. Avevamo inizialmente pensato a una scelta di stile. Ora possiamo ragionevolmente supporre che si sia trattato anche in questo caso di una svolta ambientalista, e questo ci rassicura.
Ora, caro Direttore, si metta nei miei panni. Ho 25 anni e ho rilevato da poco, con notevoli sacrifici economici familiari, un'azienda artigianale che produce e vende (venderebbe) cravatte e altri accessori di abbigliamento. Ho quattro dipendenti e sto faticosamente cercando di affermare la mia attività sul mercato. La lettura dei giornali di questi giorni mi ha bruscamente portato a confrontarmi con le mie responsabilità sociali. Ho infatti scoperto di maneggiare un business accusato di danneggiare l'ambiente. I miei potenziali clienti potranno ora giustamente respingere le mie proposte, adducendo fondati motivi di sicurezza nazionale e globale. La mia seta pura, da me finora ritenuta innocente fibra naturale, in realtà sembrerebbe essere un potenziale fattore di danno per l'atmosfera.
Avessi dato retta ai miei amici e invece di occuparmi di cravatte mi fossi messo a fare il petroliere.