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Al Garante la vigilanza, ma restano perplessità

di Antonello Cherchi

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15 settembre 2007

Il Garante della privacy non ha mai pronunciato un "no" secco di fronte all'ipotesi della banca dati del Dna. Ha sempre chiesto che fosse accompagnata da regole chiare: una legge che dicesse come deve nascere questo delicato archivio, chi vi può accedere, quali dati deve custodire, a chi va affidato il controllo. Domande a cui lo schema di disegno di legge predisposto dal ministero della Giustizia risponde. E, in linea di massima, le risposte non possono dispiacere all'Authority della riservatezza.
Una delle questioni che Francesco Pizzetti, presidente del Garante, ha sempre posto al centro dell'attenzione è stata quella del materiale da conservare: campioni biologici, in grado di rivelare l'identità della persona e anche la sua storia familiare, o più anonime sequenze alfanumeriche, quelle che il Ddl chiama il «profilo del Dna»? La banca dati conterrà quest'ultimo, mentre i campioni biologici, da cui si estrarrà "il profilo", dovranno essere distrutti non più tardi di sei mesi.
Anche il fatto che le modalità di accesso non siano lasciate al caso – identificazione dell'operatore e tracciamento di ogni interrogazione della banca dati –non può che garan-tire, almeno sulla carta, un utilizzo oculato delle informazioni genetiche. Si tratta di principi generali, che dovranno essere meglio specificati dai regolamenti attuativi, ai quali spetterà anche il compito di identificare le misure di sicurezza con cui blindare il nuovo archivio. Il fatto, poi, che a controllare il funzionamento della banca dati sia chiamato – come aveva chiesto – lo stesso Garante, dovrebbe ridimensionare certe perplessità.
La partita, comunque, è aperta, anche perché la questione della banca dati nazionale dovrà poi essere coniugata con la messa in rete degli archivi del Dna a livello Ue, come previsto dal Trattato di Prum, che il nostro Paese deve ancora ratificare. E qui entrano in gioco altre preoccupazioni, che i Garanti europei della privacy hanno già sollevato. A iniziare dal fatto che, a livello comunitario, nel settore della cooperazione giudiziaria (materia di terzo pilastro) non valgono le tutele della riservatezza (materia di primo pilastro).

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