L'elisir di lunga vita, collegato alla speranza dell'immortalità, è stato per secoli ed in svariate culture un sogno ricorrente, ben prima che la nostra opera lirica immortalasse l'elisir d'amore. Ora non dovremmo più credere a filtri magici, ma l'intento di prolungare la vita è rimasto, ed in modo estremo lo ha espresso Robert Freitas, un dirigente dell'Institute of Molecular Manufacturing di Los Angeles in una conferenza tenuta nel 2002, quando ha detto: "La morte è uno scandalo"; ovvero, è ora di farla finita con la fine della vita. Dall'altra sponda dell'Atlantico gli fa eco il giovane gerontologo inglese Aubrey de Grey (guarda il video) , direttore scientifico della Metuselah Foundation, che dichiara: "L'invecchiamento è cosa da barbari; non dovrebbe essere permesso".
Queste prese di posizione apparentemente concordi implicano una contraddizione: come ha detto Jonathan Swift già due secoli fa, "tutti vorrebbero vivere a lungo, ma a nessuno piace essere vecchio". Dobbiamo perciò subito distinguere due questione collegate ma distinte: l'aspettativa di vita, e la qualità della vita in età avanzata. Le società industrializzate hanno fatto passi avanti considerevoli in entrambe: oggi in Italia l'aspettativa di vita alla nascita è di 79 anni per gli uomini e sopra a 80 per le donne; e molti e molte sessantenni sono piacevolmente giovanili. Tuttavia, essere longevo e continuare ad essere sano non è la stessa cosa, perché l'organismo umano è complesso. L'apparato muscolare può essere ancora forte, ma l'udito o la vista sono compromessi; il fegato funziona, ma le coronarie sono parzialmente occluse, o le ossa sono diventate fragili; oppure – forse nella specie umana la situazione più dolorosa – il corpo è ancora in buona forma, ma i processi mentali sono deteriorati.
Come affrontare questi problemi nella società contemporanea? In linea di principio, trovare rimedi per le malattie dell'età avanzata non è diverso dal trovare rimedi per le malattie delle altre età: e gli antibiotici non sono meno importanti per la cura dell'endocardite in un giovane o della broncopolmonite in un vecchio. La chiave per trovare medicine nuove sta nel capire la base cellulare e molecolare delle malattie: e molti progressi si sono fatti nello studio delle malattie degenerative degli anziani come di quelle che si manifestano già nei bambini. L'industria farmaceutica è guidata in buona parte dalla domanda: con lo spostamento in alto dell'età media della popolazione le implicazioni sono evidenti. Il potenziale mercato della ‘anti-ageing industry' si valuta in cifre da capogiro: un sito chiamato Research and Markets dà una stima iniziale di 36 miliardi di dollari; e scaricare dal sito una semplice analisi di questo mercato può costare circa € 20.000. E' giusto investire cifre colossali in questo settore, quando malattie come la malaria e la diarrea continuano ad uccidere milioni di bambini? La domanda non è molto diversa dal chiedersi se non sarebbe meglio investire in veicoli eco-amichevoli come le biciclette o le utilitarie a idrogeno anziché nella Formula Uno. Io so come la penso in merito, ma l'industria anti-invecchiamento continuerà a svilupparsi: già oggi essa vende ogni anno milioni di integratori dietetici e di ‘energizzanti', quasi nessuno di provata efficacia, ed alcuni di provata inefficacia. D'altro canto, è già in farmacia almeno un farmaco che ritarda un poco gli effetti devastanti del morbo di Alzheimer. Pertanto, insieme con la questione di etica sociale posta sopra, diventerà sempre più scottante quella economica. Negli Stati Uniti sarà forse il prossimo Presidente che dovrà affrontarla; ma in Europa, per fortuna, abbiamo già in tutti i paesi un Servizio Sanitario Nazionale: fino a che punto potrà questo sostenere le nuove ingenti spese imposte da farmaci anti-senescenza – intendo, quelli che si dimostreranno efficaci? Da tempo lo slogan della geriatria è stato: "più che aggiungere anni alla vita, vogliamo aggiungere vita agli anni". Controllare le malattie associate all'invecchiamento non è la stessa cosa come dire che la morte è uno scandalo. A mio modo di vedere i farmaci che combattono le malattie a qualunque età, ivi comprese quelli che possano eliminare o attutire gli acciacchi della vecchiaia, sono tutti sullo stesso piano, e la società dovrebbe renderli disponibili a chi ne ha bisogno.
Se passiamo invece all'eventualità di farmaci che possano aumentare l'aspettativa di vita come tale, ci troviamo davanti a un paradigma nuovo. A monte del problema economico, c'è un problema scientifico: è questa eventualità realistica, ed è desiderabile?
Per un problema così complesso i biologi ricorrono ad organismi relativamente semplici: e in effetti dati illuminanti sono venuti dallo studio dei lieviti e di un piccolissimo verme ormai famoso chiamato Caenorhabditis elegans. È impossibile sintetizzare in poche righe un intero settore di ricerca che sta avendo un'espansione esplosiva: ma due punti sono prominenti. (1) L'aspettativa di vita ha una base genetica: può bastare una mutazione di un singolo gene a cambiarla, in più o in meno. (2) I geni implicati hanno funzioni molteplici: ad esempio possono agire in modo diverso sulla longevità e sull'attività riproduttiva. Per tornare ai mammiferi, alcune mutazioni di un gene piuttosto famoso, chiamato p53, prevengono nel topo l'insorgenza di tumori, ma al tempo stesso diminuiscono la longevità: e forse altre mutazioni fanno il contrario. La maggior parte delle cellule di un adulto ha a disposizione un numero limitato di divisioni cellulari, perché ad ogni divisione le estremità dei cromosomi, i telomeri, si accorciano un poco: questa specie di orologio biologico probabilmente influisce sulla longevità delle cellule staminali di ogni organo.
Sarà possibile allora prolungare la vita media? I sostenitori di questa idea fanno un'estrapolazione da quanto è accaduto nell'ultimo secolo nelle società industrializzate. Ma è evidente che sinora il prolungamento della vita va accreditato soprattutto al controllo delle malattie infettive ed al miglioramento dell'alimentazione: ed è interessante, da questo punto di vista, che occorre non esagerare. Uno dei risultati più riproducibili della ricerca sulla senescenza è che la restrizione calorica tende ad allungare la vita: insomma, l'ideale è mangiare parecchio, con dovizia di proteine, durante l'età dello sviluppo; ma a sviluppo completato assai meno. Probabilmente con questi interventi possiamo avvicinare di molto la vita media al massimo biologico per la nostra specie: in cifra tonda, diciamo che sia di 100 anni.
Ben diverso progetto è voler superare tale massimo biologico: in altre parole, potrebbe essere erroneo estrapolare, dall'aumento dei vita media dell'ultimo secolo, che lo stesso avverrà in questo. Non è inconcepibile inventare interventi, farmacologici o non, che possano raggiungere questo obiettivo: ma non ci sarebbe da stupirsi se gli effetti collaterali fossero inaspettati e anche gravi (si potrebbe andare più in là degli infarti talvolta causati dal viagra). Insomma, se la vita si allunga davvero dovremo curare meglio gli acciacchi che già conosciamo, e sempre più spesso ricorrere all'uso di pezzi di ricambio; ma in più potremmo andare incontro a problemi nuovi.
L'anelito all'immortalità negli esseri umani è molto antico: basti pensare ai mitici eroi diventati immortali come gli dei; ed alla fede di molte religioni che almeno l'anima degli uomini e delle donne sia immortale. Alcuni miti africani hanno intuito i limiti di questo anelito: occorre sacrificare qualche prerogativa umana per diventare immortali. D'altro canto, dai primordi della storia una caratteristica costante della cultura umana è la graduale aspirazione a capire sempre più a fondo la natura attraverso il ragionamento. La ragione mi dice che il mio corpo è mortale: e personalmente mi riterrò molto fortunato se potrò morire serenamente mentre sono ancora in grado di ragionare e di amare.