Nelle stesse ore in cui, martedì 16 ottobre, l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni annunciava da Tripoli il "maxiaccordo" su gas e greggio con la Noc libica con investimenti per 28 miliardi di Euro in 10 anni, alla Farnesina il viceministro degli Esteri di Gheddafi Al Obeidi si incontrava con i più stretti collaboratori del ministro degli Esteri Massimo D'Alema per cercare un accordo sul contenzioso politico bilaterale. Già a metà dello scorso luglio Al Obeidi aveva incontrato D'Alema per concordare le modalità di un "negoziato complessivo", un tavolo unico sul quale affrontare le questioni degli insoluti di pagamenti, dei visti e del "grande gesto", ossia la costruzione della strada litoranea sulla traccia della vecchia via Balbia (spesa prevista almeno 3 miliardi di euro). Il nuovo clima di distensione dopo gli incidenti di Bengasi e dopo la misteriosa chiusura, nei primi mesi del 2007, dell'ambasciata libica a Roma (risolta dopo un viaggio lampo di Pasqua nel deserto libico del ministro d'Alema) avrebbero favorito la firma dell'accordo che l'Eni stava negoziando da due anni.
La conclusione dell'intesa Eni-Noc potrebbe ora accelerare una conclusione anche delle altre questioni rimaste aperte nel dialogo con Tripoli. C'è perfino chi ipotizza che la firma per la proroga delle concessioni fino al 2042 per il petrolio e fino al 2047 per il gas siano giunte solo dopo un'intesa di massima sul principale nodo nei rapporti italo-libici ossia il via libera da parte italiana alla costruzione della strada per chiudere definitivamente la vicenda del periodo coloniale con un collegamento diretto tra accordo Eni e costruzione della strada.
Del resto in nessun altro Paese come in Libia petrolio e politica sono due facce della stessa medaglia. Nel '98 l'Eni riuscì a sbloccare un negoziato lunghissimo con condizioni molto favorevoli ma soltanto dopo la firma del "comunicato congiunto" negoziato per l'Italia dall'allora ministro degli Esteri, Lamberto Dini, in cui il nostro Paese faceva atto pubblico di contrizione per il periodo coloniale e si impegnava «a non fare più patire» analoghe atrocità in futuro al popolo della Jamahiriya. Sta di fatto che quel comunicato dettato dalle esigenze della diplomazia economica aprì la strada ad un vantaggioso contratto energetico.
Una logica dello scambio che è un connotato tipico della diplomazia di Gheddafi. Anche qualche mese fa l'iperattivismo francese di Sarkozy (e di sua moglie Cécilia) che ha portato alla liberazione delle infermiere bulgare sulle quali pesava una condanna a morte è stato reso possibile a fronte dello sblocco di Parigi per la fornitura a Tripoli di missili anticarro Milan per 168 milioni di euro.
In nome della ragion di Stato, purtroppo, c'è sempre qualcuno che rischia di rimetterci. Ad esempio non è chiaro se e quando gli italiani residenti in Libia cacciati da Gheddafi nel 70 potranno tornare in quel Paese. Il presidente dell'associazione dei rimpatriati dalla Libia Giovanna Ortu ha espresso soddisfazione per l'accordo Eni e per gli annunciati investimenti in attività sociali a favore della popolazione libica anche se, ha aggiunto «l'Eni ha risposto picche due anni fa alla richiesta di contribuire almeno in parte alla ristrutturazione del cimitero cattolico di Tripoli». La Ortu non si spiega inoltre come mai, a fronte di questi accordi lucrosi per l'Italia, non si riescano a trovare i pochi milioni di euro chiesti dai rimpatriati per una legge di indennizzo che li ricompensi almeno parzialmente delle confische subite nel 70 da Gheddafi.