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26 aprile 2006

L'Italia tra paure e fobie
abbandonò il nucleare

di Piero Fornara

Questo mese di aprile 2006, con la vittoria al fotofinish di Prodi nelle elezioni e il barile di petrolio che si arrampica a 75 dollari, sembra poco beneaugurante, ma, se torniamo sul filo della memoria agli eventi di vent'anni fa, senza dubbio non mancavano motivi peggiori di preoccupazione.


Il 15 aprile 1986, per rappresaglia contro l'attacco aereo Usa su Tripoli e Bengasi, il colonnnello Gheddafi allarmò l'Italia scagliando due missili verso Lampedusa, che per fortuna fallirono il bersaglio, ricadendo in mare. Una ritorsione, quella libica, tanto più incomprensibile in quanto rivolta contro un Paese come il nostro, che aveva costantemente cercato soluzioni diplomatiche alla crisi nel Mediterraneo e che proprio il giorno prima, per bocca del presidente del Consiglio Bettino Craxi, aveva criticato l'azione militare americana. Meno di due settimane dopo, il 26 aprile, accadeva il disastro alla centrale nucleare di Chernobyl in Unione Sovietica e la conseguente diffusione di radioattività anche in Europa occidentale.

Stop a latte fresco e insalata. Quando la notizia, con alcuni giorni di ritardo, si diffonde e si comprende in tutta la sua gravità, in Italia sui mercati agroalimentari si registrano pesanti ripercussioni, che ben presto coinvolgono anche i prodotti non direttamente interessati al provvedimento di messa al bando per il pericolo delle radiazioni, soprattutto latte fesco e insalata di stagione a foglia larga. La ripercussione più vistosa, ma anche la più scontata, è l'impennata dei prezzi degli ortaggi ammessi regolarmente alla vendita: in pochi giorni le quotazioni dei pomodori e delle patate registrano aumenti superiori al 50-60 per cento. Per il latte il divieto di somministrazione ad alcune fasce di consumatori ritenute a rischio (bambini fino a dieci anni e donne in stato di gravidanza) provoca un blocco molto più generalizzato delle vendite di prodotto fresco.
A Roma gli abituali clienti della Centrale rimandano indietro i furgoni con il carico intatto, anche la Centrale di Milano ha una resa molto alta. Chi allora aveva in famiglia bambini piccoli forse ricorda i pacchi depositati in cucina dei cartoni di latte a lunga conservazione, quasi subito scomparso dagli scaffali dei supermercati. Passeranno alcune settimane prima che Bettino Craxi, parlando ai microfoni della Rai, inviti i cittadini italiani a «tornare serenamente alle nostre abitudini alimentari».

Ma se la diffusione delle sostanze inquinanti e tossiche nell'atmosfera proseguì dalla notte dell'incidente fin verso il 10 maggio in misura crescente, per poi diminuire a poco a poco, ciò di cui si deve tenere conto è il "tempo di dimezzamento" dei radionuclidi, che va da un periodo di otto giorni per lo jodio-131 a ben trent'anni per il cesio-137, che dalla cima di un albero può cadere al suolo, penetrare nel terreno e raggiungere le radici e i germogli (oggi però i nostri funghi, ad esempio, registrano livelli di cesio insignificanti).


I referendum sul nucleare. A vent'anni dalla tragedia di Chernobyl una troupe di Superquark, guidata da Piero Angela, si è recata sul luogo del disastro per ricostruire ciò che accadde in Ucraina nella notte del 26 aprile 1986 e per cercare di rispondere ai problemi ancora non risolti. Il reportage ha messo in dubbio le conclusioni di un rapporto dell'Enea (Ente per le nuove tecnologie, energia e ambiente), secondo il quale non ci sarebbero state conseguenze sanitarie in Italia. Il problema è infatti controverso, visto l'aumento di patologie della tiroide registrato dagli endocrinologi soprattutto negli ultimi anni. L'emergenza energetica è comunque per l'Italia uno dei temi scottanti. Non abbiamo petrolio, nè carbone nè centrali nucleari; c'è gas, ma non è sufficiente. L'energia idroelettrica ha un limite nei costi eccessivi, quella solare ed eolica stentano a decollare. Per più dell'85% del fabbisogno energetico l'Italia dipende dall'estero.
Una "ricaduta" di Chernobyl - non di radioattività, ma di carattere politico - fu per il nostro Paese anche il risultato dei tre referendum del novembre 1987, quando furono bocciati a larga maggioranza la localizzazione delle centrali, la partecipazione alla costruzione delle centrali all'estero e i contributi ai comuni che accettavano centrali sul loro territorio: di fatto, anche se non de jure, fu sancita dalle urne l'uscita dell'Italia dal nucleare.
Due libro da poco pubblicati, «Le mele di Chernobyl sono buone» (di Giancarlo Sturloni,
Sironi Editore, 269 pagine, 16 euro) e «Ritorno a Seveso» (di Laura Centemeri, Bruno Mondadori editore, 196 pagine, 20 euro) prendono spunto dalla cronaca di quei giorni per scandagliare la tragedia di Chernobyl, ma anche i silenzi di Seveso. In luglio saranno infatti passati 30 anni dal disastro ambientale della nuvola di diossina che colpì alle porte di Milano: non ci furono vittime umane immediate - come dieci anni dopo a Chernobyl - ma fu un dramma ambientale che, per quanto se ne sapeva allora, avrebbe potuto provocare effetti forse altrettanto catastrofici, sia per le persone che per il terrritorio.

Chernobyl e Seveso. Poco dopo mezzogiorno del 10 luglio 1976 nello stabilimento chimico dell'Icmesa di Meda, una valvola di sicurezza di un reattore esplode provocando la fuoriuscita di alcuni chili di diossina nebulizzata (qualcuno dice 10-12 chili, altri di appena un paio); il vento disperde la nube tossica verso est, soprattutto sulla confinante cittadina di Seveso, in Brianza. Dopo quattro giorni dall'incidente foglie degli alberi ingialliscono e cadono, inizia la moria di galline, uccelli e conigli. Nell'area interessata vivono circa 100mila persone e si verificano i primi casi di intossicazione nella popolazione. Il 15 luglio il sindaco di Seveso emana un'ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l'erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile, di esporsi all'aria aperta; il 18 luglio parte un'indagine dei carabinieri del comune di Meda e il pretore decreta la chiusura dello stabilimento; si procede all'arresto del direttore e del vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte all'emergenza.
I casi d'intossicazione aumentano, i più colpiti sono i bambini. Si dà nome a una malattia allora quasi sconosciuta: la cloracne, il sintomo più eclatante dell'esposizione alla diossina, che colpisce la pelle, soprattutto del volto e dei genitali esterni, se l'esposizione è prolungata si diffonde in tutto il corpo. Il 10 agosto si decide di evacuare l'area circostante l'impianto per circa 15 ettari e le famiglie residenti nelle zone più colpite sono invitate ad abbandonare le proprie abitazioni. Reticolati sono posti per delimitare le zone pericolose. Continuano intanto casi di intossicazione e aumentano i ricoveri ospedalieri tra la popolazione di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno; nelle donne incinte si diffonde la preoccupazione per gli effetti della contaminazione sui futuri nascituri. Ma gran parte degli "esperti" tendono a tranquillizzare tutti sminuendo gli effetti della diossina, anche se la televisione e i giornali continuano a mostrare filmati e foto di bambini ricoverati in ospedale con i piccoli volti coperti da estese macchie rosse e le zone contaminate dove si aggirano uomini in tute bianche sigillate che raccolgono campioni di terreno e bruciano carcasse di animali. Il risultato concreto fu di privare quella gente, combattuta fra opposte versioni, di ogni certezza.



 

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