Il Sole 24 Ore
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27settembre 2006

Tramonta il mito americano del self made man

di Elysa Fazzino

WASHINGTON - L’America non è più la terra dove si fa fortuna partendo dal nulla. Le barriere di classe bloccano la mobilità sociale: chi nasce povero ha ben poche probabilità di diventare ricco. Altre economie avanzate danno più opportunità: in Finlandia, Canada, Svezia e Germania la prosperità dei figli è meno determinata da quella dei padri rispetto agli Stati Uniti.
L’ultimo colpo di piccone al sogno americano lo dà uno studio dell’Economic Policy Institute (Epi) l’edizione 2006-2007 del rapporto annuale sul mercato del lavoro Usa (The State of Working America). Il quadro è ben diverso da quello decantato nell’800 da Horatio Alger, che nei suoi popolarissimi libri ha divulgato il mito del successo aperto a chiunque - per quanto di umili origini - si impegni con duro lavoro, onestà e determinazione. Il rapporto Epi è demistificatorio: la scalata sociale è l’eccezione, non la regola, per gli americani del giorno d’oggi.
«Molte famiglie rimangono nella stessa classe di reddito per tutta la vita e il reddito dei figli corrisponde largamente a quello dei padri». In base a simulazioni svolte da economisti, i bambini di una famiglia povera di quattro persone con due figli impiegherebbero nove o dieci generazioni – oltre 200 anni – per raggiungere il reddito di una tipica famiglia di classe media di quattro persone.
L’analisi delle tendenze di mobilità del reddito mostra quanto siano scarse le possibilità di fare il grande salto: i figli di padri a basso reddito hanno meno del 5% di chances di fare parte del 20% degli americani a più alto reddito quando diventeranno adulti.
Invece di attenuarsi, le disuguaglianze si accentuano: i ricchi diventano sempre più ricchi, man mano che nell’economia Usa aumenta il reddito basato sul capitale rispetto al reddito basato sul lavoro. Lo studio calcola che lo spostamento finanziario equivale a un trasferimento annuo di 3.043 dollari da ogni salariato appartenente all’80% dei lavoratori a reddito più basso a quelli appartenenti al 20% a reddito più alto.

Confronti internazionali
Mettendo a confronto la mobilità intergenerazionale esistente in sei Paesi industrializzati, gli Stati Uniti si piazzano solo al quinto posto: la classifica vede al primo posto la Finlandia, seguita nell’ordine da Canada, Svezia, Germania, Usa e per ultima la Gran Bretagna. Negli altri Paesi esiste una rete sociale di protezione molto più ampia, spesso accusata dagli ultraliberisti americani di scoraggiare la spinta a migliorare la propria posizione economica. Eppure, in questi Paesi le famiglie non vengono fossilizzate nel loro stato e sembrano affrontare meno barriere sociali.
Gli Stati Uniti sono tra i Paesi con più alto reddito pro capite (tra i Paesi Ocse solo la Norvegia li supera, in base ai dati 2004) , ma la ricchezza nazionale non è un antidoto alla povertà. Negli Usa c’è la più alta percentuale di poveri - 17% - contro il 5,4% della Finlandia, il 6,4% della Norvegia e il 12,7% dell’Italia. Il divario tra le famiglie più ricche e quelle più povere è più grande che altrove. Le famiglie a minore reddito negli Usa stanno relativamente peggio rispetto a quelle a minore reddito di altri Paesi. Il 16% della popolazione americana - 46 milioni di persone – non ha copertura sanitaria. Non c’è da stupirsi che – tra i 20 Paesi Ocse esaminati nello studio - gli Stati Uniti siano tra quelli con la più bassa speranza di vita (77,2 anni) e la più alta mortalità infantile (il tasso di mortalità infantile negli Usa è di 7 ogni mille nascite; l’Italia, che nel 1979 era in testa con 15,4 era scesa nel 2003 a 4,3).

Più difficile salire la scala sociale, specie per i neri
Le edificanti storie “rags-to-riches” (“dalle stalle alle stelle”) che hanno costruito lo stereotipo dell’America come terra delle opportunità non trovano più alcun riscontro nelle statistiche.
Anche se il reddito familiare continua a crescere gradualmente man mano che i lavoratori vanno avanti con gli anni, l’ampiezza di questa crescita è diminuita. Una famiglia che nel 1954 aveva un reddito medio e un capofamiglia di 30 anni vedeva il proprio reddito aumentare del 119% nei 20 anni successivi. Una famiglia analoga nel 1984 sperimentava nello stesso arco di tempo un aumento di reddito solo del 63,1 per cento. Sulla mobilità sociale la razza incide più di quanto non si voglia ammettere, nonostante l’enfasi posta su linguaggi e comportamenti “politicamente corretti”. Le famiglie di bianchi hanno più del doppio di probabilità di essere mobili verso l’alto rispetto alle famiglie di neri, mentre le famiglie di neri hanno più del doppio di probabilità di essere mobili verso il basso rispetto alle famiglie di bianchi. Nei trent’anni dal 1968 al 1998 il 10,2% dei bianchi si sono spostati dallo scaglione del 25% dei redditi più bassi allo scaglione del 25% dei redditi più alti. Solo il 4,2% dei neri hanno avuto altrettanta fortuna. Invece, il 9% dei bianchi e il 18,5% dei neri sono scivolati dallo scaglione più alto a quello più basso.
Il reddito familiare pesa anche sul completamento degli studi universitari, perpetuando le disparità economiche. I bambini più brillanti delle famiglie a basso reddito hanno più o meno la stessa probabilità di arrivare alla laurea (29%) dei somari delle famiglie ad alto reddito (30 per cento).

27settembre 2006