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2 ottobre 2006 |
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Presidenziali in Bosnia: certa la vittoria di due moderati |
Secondo i primi risultati parziali delle elezioni politiche svoltesi ieri in Bosnia, Haris Silajdjic e Nebojsa Radmanovic, considerati moderati, hanno vinto le elezioni per l’esponente musulmano e serbo della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, ma incerto resta il risultato delle votazioni per il membro croato dell’organo collegiale.
Il testa a testa tra il socialdemocratico Zeljko Komsic (Sdp, multietnico) e il nazionalista Ivo Miro Jovic (Hdz) sarà deciso dagli elettori del cantone di Sarajevo e di Tuzla, zone per le quali lo spoglio delle schede è ancora in corso e in cui è prevedibile un maggior numero di voti al candidato dell'Sdp.
Komsic, ha dichiarato Jovic citato dalla stampa bosniaca, «non può e non sarà membro della presidenza», perché, ha detto, la sua eventuale elezione sarà legale ma non legittima perché avrà vinto con i voti non dei croati, ma degli elettori musulmani dell'Sdp.
I bosniaci si sono recati in massa alle urne per eleggere i propri rappresentanti che, a undici anni dalla fine della guerra (1992-95), dovranno assumere la piena responsabilità del futuro del Paese, che nel giugno del 2007 non sarà più un protettorato internazionale.
«Questo Paese ha bisogno di politici disposti a prendere gravi decisioni», ha detto l'attuale Alto rappresentante della comunità internazionale, il tedesco Christian Schwarz-Schilling, in vista della chiusura del suo ufficio prevista per l'anno prossimo, che, trasformandosi in rappresentante solo dell'Unione europea, manterrà un ruolo di consigliere ma perderà i poteri da governatore che ha oggi, come quello di imporre leggi e rimuovere funzionari pubblici.
Anche l'Eufor, la forza militare dell'Unione europea, avvierà dall'anno prossimo il ritiro di una buona parte degli attuali 6.000 soldati, mentre alcuni Paesi, come la Germania, hanno già annunciato il ritiro dei propri contingenti militari.
Dalla fine del conflitto civile, che ha provocato almeno 110.000 morti, la Bosnia, con l'aiuto della comunità internazionale, ha fatto importanti progressi nella ricostruzione e nell'integrazione del Paese, diviso in due entità dall'accordo di Pace di Dayton, la Federazione Bh (a maggioranza croato-musulmana) e la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba). Negli ultimi anni sono state rafforzate le istituzioni comuni di Sarajevo, trasformati i tre eserciti, un tempo belligeranti, in un'unica forza armata professionale, costituiti a livello dello Stato la polizia di frontiera, il sistema doganale, quello della tassazione indiretta, un tribunale statale.
Le divisioni etniche, però, sono tornate con grande forza sulla scena durante la campagna elettorale, incominciata di fatto già in primavera, quando sono state fermate le riforme richieste da Bruxelles. E col passare dei mesi le contrapposizioni hanno acquisito toni sempre più accesi. La retorica dei maggiori partiti nazionalisti serbi, croati e musulmani ha alimentato i sentimenti nazionalistici delle tre comunità, riducendo a puri slogan il trattamento dei problemi come la disoccupazione, la lotta alla povertà o alla corruzione, la riduzione delle spese per la complicata ed enorme amministrazione pubblica.
I diplomatici occidentali insistono anche sulla riforma costituzionale, concordata dalle forze politiche ma poi bocciata in parlamento lo scorso aprile, che prevedeva la sostituzione della presidenza tripartita con un presidente e un notevole rafforzamento dei poteri del parlamento e del governo centrale.
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