A cinquant'anni dallo scoppio della rivoluzione democratica del 1956, l'Ungheria fatica ancora a trovare una memoria condivisa di quegli eventi.
Oggi si raggiungerà il culmine nelle celebrazioni del cinquantenario, visto che il 23 ottobre è la data in cui iniziò la sommossa di popolo che portò al momentaneo rovesciamento del potere stalinista.
È lo stesso epicentro delle celebrazioni, la storica piazza Kossuth dove ha sede il Parlamento, a mostrare i segni di questa divisione: una parte della piazza è un vero e proprio accampamento in cui dimostranti continuano a contestare il primo ministro Ferenc Gyurcsany e a chiederne le dimissioni.
Il premier è nell'occhio del ciclone da quando, il 17 settembre scorso, è filtrata alla stampa la registrazione audio d'un discorso a porte chiuse in cui ammetteva di aver mentito agli elettori prima delle consultazioni politiche dell'aprile scorso.
A Gyurcsany viene contestato anche il passato da giovane comunista e l'essersi imparentato con un ex ministro del vecchio regime.
Tra i più scottanti segni di dissidio, c'è stato ieri l'episodio di diversi veterani di quegli anni che, nel ritirare in una cerimonia solenne al Parlamento il premio "Imre Nagy" e altre alte onorificenze, si sono rifiutati di stringere la mano al premier.
Il gesto più eclatante è stato quello di Magdolna Rohr Pinter che ha platealmente ritirato la mano mentre Gyurcsany gliela porgeva. «Sono stata in un gulag in Siberia centrale e immaginate come possa essere stato essere imprigionata in un gulag sovietico dal 1945 fino alla fine del 1953», ha spiegato l'anziana donna.
«E' per questo - ha aggiunto - che non gli ho dato la mano. Posso dire che lui ha studiato lì e ora riproduce qui quello che facevano in Unione sovietica».
Un appello all'unità degli ungheresi nel segno del '56 è stato lanciato ieri dal presidente della repubblica Laszlo Solyom, parlando di fronte al Politecnico di Budapest, da dove il 22 ottobre fu convocata la manifestazione del giorno dopo su una piattaforma di rivendicazioni di autonomia nazionale nei confronti dell'Unione Sovietica e di riforme democratiche. «Una celebrazione nazionale può avere un senso solo se una nazione l'ha accettata nel cuore e se è parte dell'autocoscienza e dell'identità di una nazione»", ha detto Solyom di fronte ad alcune centinaia di persone, molte delle quali portavano coccarde e bandiere bucate, simbolo del '56.
«Quando - si è chiesto - il 23 ottobre 1956 sarà accettato come tale?» La rivolta del 1956 fu uno spartiacque nella storia delle democrazie popolari satellite dell'Unione Sovietica. Dopo un primo ritiro e apparente accettazione dello stato di fatto, col nuovo governo di Imre Nagy al potere, i sovietici tornarono a reprimere la rivoluzione coi carri armati a partire dal 4 novembre. Il risultato dell'invasione sovietica e della resistenza magiara furono, in alcune settimane di duri combattimenti, 2.800 ungheresi e 700 soldati sovietici morti e circa 200mila profughi. Nella repressione furono giustiziati in 225. Tra questi anche il primo ministro Imre Nagy, che fu impiccato.
A ricordare quegli eventi sono convenuti a Budapest capi di stato e ministri provenienti da almeno 56 paesi. Tra gli ospiti, molti dei quali hanno partecipato ieri a una serata di gala presso il Teatro dell'Opera, anche il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso, il segretario generale della Nato Jaan de Hoop Scheffer, il re di Spagna Juan Carlos, il presidente tedesco Horst Koehler e quello austriaco Heinz Fischer. A rappresentare l'Italia è il ministro degli Esteri e vicepremier Massimo D'Alema.
Mentre questi ospiti saranno impegnati nel Parlamento in un fitto programma ufficiale di commemorazioni, nella piazza Kossuth i manifestanti promettono di dire la loro. La piazza è per metà piena di tende. L'area dove sono i dimostranti è delimitata da un muro di pannelli in cartongesso con foto del '56. All'interno di una grande tenda c'è un ambulatorio auto-organizzato dai dimostranti e un grande simbolo dell'Ungheria disegnato con la cera colata da candele colorate.
I dimostrati non sembrano spaventati dalla presenza massiccia della polizia, che ha letteralmente militarizzato il centro di Budapest. La sicurezza delle cerimonie verrà garantita, secondo quanto riferisce la Polizia di Budapest, da 1.200 poliziotti.
«Questa celebrazione è stata fatta come la festa dei politici e gli ungheresi non ci possono entrare: possono venire i Re magi e vedere il Bambinello», ha detto sarcastico, parlando con Apcom nella piazza, ieri uno degli organizzatori della protesta Jozsef Dobrovics. «Naturalmente noi ci sorridiamo sopra - continua - e facciamo i nostri passi. La cerimonia non sarà così tranquilla come Ferenc Gyurcsany la vorrebbe».