È braccio di ferro tra il premier Erdogan e i militari. L'esercito turco, con un duro «comunicato di mezzanotte», in piena bagarre elettorale sull'elezione del nuovo capo dello Stato, ha alzato i toni della polemica accusando il Governo filoislamico di «attività antilaiche» e ha riaffermato il suo ruolo costituzionale di «guardiano della laicità» minacciando ulteriori mosse «quando necessario».
Pronta la risposta del Governo che ha definito le critiche «erronee e spiacevoli», ricordando ai militari che essi sono, comunque, «subordinati all'esecutivo» ed affermando con il premier Tayyip Erdogan che i turchi «non permetteranno il ripetersi di disastri (colpi di stato militari) passati».
Insomma siano in pieno scontro istituzionale con gravi conseguenze per la stabilità del Paese della Mezzaluna.
Come se non bastasse sulle presidenziali turche è entrata in gioco anche l'Unione europea e gli Usa, ma su fronti opposti. La presidenza di turno tedesca della Ue e il commissario europeo per l'Allargamento, Olli Rehn, hanno chiesto ieri ai vertici delle Forze armate del Paese di restare fuori dal processo elettorale, all'indomani del monito espresso dallo Stato Maggiore, a cui la Costituzione turca affida il ruolo di garante ultimo della laicità dello Stato, a proposito della secolarizzazione in pericolo. «È importante che l'esercito lasci le prerogative della democrazia al Governo eletto, e ciò rappresenta una prova per vedere se le forze armate turche rispettano la laicità democratica e l'organizzazione democratica delle relazioni tra civili e soldati», ha dichiarato il commissario europeo da Bruxelles.
Se l'Europa mette in guardia l'esercito, gli Stati Uniti invece richiamano la Turchia al rispetto della propria Costituzione: sempre da Bruxelles, Dan Fried, vicesegretario di stato americano, ha parlato in margine a un forum sulle relazioni transatlantiche invitando Ankara a non tradire le proprie tradizioni laiche: «auspichiamo e ci attendiamo - ha detto Fried - che i turchi affronteranno queste vicende in un modo che sia affine alla loro democrazia laica e a quanto previsto dalla costituzione».
La situazione è precipitata dopo che nella prima votazione per eleggere il nuovo presidente il viceprimo ministro Abdullah Gul, candidato unico del partito filoislamico al Governo, Akp, non aveva raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi dei membri del Parlamento, dopo che tutti i partiti dell'opposizione avevano boicottato la seduta astenendosi e protestando contro i metodi autoritari dell'Akp. A quel punto il Chp, forza di sinistra e maggior partito d'opposizione, si è rivolto alla Corte costituzionale per chiedere l'annullamento del processo elettorale a causa della mancanza nella seduta del numero legale: la sentenza è attesa in tempi rapidi, forse domani.
A sostegno dell'opposizione è intervenuto l'esercito turco che ha lanciato venerdì sera, in piena elezione presidenziale, un forte avvertimento contro qualsiasi rimessa in discussione del principio di laicità in vigore nel Paese, accusando Erdogan di inerzia di fronte allo sviluppo di attività islamiche e, indirettamente, di avere una agenda islamica segreta per introdurre gradualmente la sharia nel Paese.
Nel comunicato delle forze armate si fa riferimento ad una serie di attività religiose organizzate di recente, in particolare per i bambini e nelle scuole pubbliche (si sono svolte, fra l'altro, delle gare di conoscenza del Corano), che vengono definite «tentativi di erodere il sistema laico». «Il problema è ancor più grave considerato che una parte importante di queste attività si è tenuta con l'approvazione delle autorità che sarebbero tenute a prevenirle».
«Questo spirito reazionario, che è contro la repubblica e non ha altro obiettivo che quello di minare i principi fondamentali del nostro Stato - sostiene ancora l'esercito - ha preso coraggio con alcuni sviluppi e parole di questi ultimi giorni».
«Queste attività anti-laiche - prosegue il comunicato - violano il principio di attaccamento (del futuro presidente) al regime repubblicano non solo a parole ma anche in pratica espresso dal capo di Stato maggiore», generale Yasar Buyukanit, che ne parlò in una conferenza stampa il 12 aprile scorso.
Il primo governo di ispirazione islamica della storia della Turchia moderna, capeggiato da Necmettin Erbakan, nel 1997, padre spirituale di Erdogan, fu costretto alle dimissioni su pressioni dell'esercito con un cosiddetto "golpe bianco". Tre invece sono stati i colpi di stato veri e propri fatti dall'esercito turco nel recente passato: nel 1960, 1971 e 1980.