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L'esercito dei 58mila dipendenti Onu

di Marco Ratti

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30 aprile 2007

I conti in tasca alla struttura

È una delle leggende metropolitane più diffuse al mondo: le Nazioni Unite spendono tutto in stipendi e i dipendenti sono pagati come nababbi. Ma nessuno, finora, era andato a verificarlo dati alla mano. L’ha fatto Il Sole-24 Ore, arrivando a stime basate sulle retribuzioni pagate in ognuno dei circa 180 Paesi in cui operano le organizzazioni del sistema Onu. Il risultato dice che l’incidenza dei salari è contenuta: meno del 15% delle risorse a disposizione.
Il personale con contratto di durata non inferiore all’anno è composto da quasi 58mila dipendenti e la nazionalità di origine di oltre 20mila dipendenti si concentra in soli 10 Paesi (tutti i dati utilizzati si riferiscono al 2005). Gran parte dei collaboratori appartiene a una di queste tre categorie: general service, professional e dirigenti. Tra i primi, che costituiscono il gradino più basso, si trovano, ad esempio, impiegati e staff amministrativo di supporto. Per essere assunti come professional occorre una laurea. Infine, ci sono due livelli direttivi e quelli di assistente del Segretario generale e Sottosegretario generale, che nella tabella sono compresi tra i professional. Le organizzazioni del sistema Onu pagano il personale secondo gli stessi criteri.
Lo staff inquadrato nei livelli più alti di solito è reclutato fuori dallo Stato in cui opera e i compensi si basano su tabelle uguali per ogni Paese. La retribuzione è composta da un salario minimo e gli stipendi netti crescono quando il dipendente ha persone a carico. In alcuni casi sono previsti benefit, come aiuti per l’affitto della casa o la scuola dei figli. Tra professional e dirigenti le retribuzioni lorde annue vanno da un minimo di 43.831 dollari a un massimo di quasi 190mila. Oltre il 50% di questi dipendenti è inquadrato tra il quarto e il quinto livello, sui nove totali, pari a un salario medio lordo che supera i 101 e i 120mila dollari annui.
I gruppi più numerosi di lavoratori con queste qualifiche si trovano nei Paesi ricchi (in Svizzera ce non sono 4.582, negli Usa 3.917), ma molti sono dislocati in zone con un costo della vita decisamente inferiore. Eppure, a fine mese, lo stipendio di un professional che lavora a New York sarà lo stesso di chi occupa il medesimo livello ad Asmara. Un altro punto critico del sistema utilizzato è che gli aumenti salariali dovrebbero basarsi sul grado di soddisfazione del servizio, ma di fatto gli scatti sono quasi automatici ogni uno o due anni.
Le modalità di pagamento di chi è assunto come general service sono diverse. Il reclutamento avviene quasi sempre nelle zone d’intervento e la retribuzione varia in base al Paese in cui si opera. A Kiribati, ad esempio, secondo gli ultimi dati disponibili, il salario lordo medio annuo non supera i 4.500 dollari, mentre in Giappone raggiunge i 90mila. Dei circa 34mila impiegati come general service, oltre 10mila lavorano solo in tre Paesi (Svizzera, Stati Uniti e Italia). Gli aumenti salariali di norma avvengono ogni anno e sono previste indennità per le persone a carico e per la conoscenza di lingue straniere.
Fin qui i livelli degli stipendi dei singoli dipendenti. Ma quanto costa tutto questo al sistema Onu? E quanto incide sul totale delle risorse a disposizione delle organizzazioni? In generale, il costo si aggira sui 3,6 miliardi di dollari annui. Di questa somma, solo un terzo circa va ai general service (che numericamente sono il 59%), mentre il resto va imputato alle categorie superiori. Nel complesso, dei 24.481 milioni di dollari a disposizione nel 2005 del sistema Onu, meno del 15% è finito in stipendi. Un dato che può apparire basso, ma che nasconde grandi differenze tra un ente e l’altro. Non sempre un’elevata spesa in stipendi va giudicata negativamente, ma occorre valutare i dati in base al tipo di attività specifiche di ogni agenzia.
Percentuali molto alte sono giustificabili quando si tratta di organizzazioni che si occupano di gestire rapporti politico-istituzionali dai quartier generali, come l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), di erogare direttamente servizi di supporto e progetti, di fare attività di ricerca e sviluppo con risorse interne, come l’Istituto per la formazione e la ricerca (Unitar), l’Università dell’Onu (Unu) e l’Organizzazione mondiale della sanità (Who), o di attività amministrative e istituzionali, come la Corte internazionale di giustizia (Icj) e la Commissione per il settore pubblico internazionale (Icsc). Non dovrebbero spendere tanto in stipendi, invece, quegli enti impegnati in interventi umanitari, sanitari o di sviluppo molto presenti sul campo, come l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa), né quelle che provvedono per lo più a finanziare altri enti.
Analizzando le stime di spesa in stipendi, emerge che in tre casi si supera il 50% del budget. Chi spende di più è l’Unione postale internazionale (Upu), l’Agenzia specializzata dell’Onu per la cooperazione tra i vari attori del settore e la diffusione del servizio postale. È comprensibile che impieghi in questo modo molto denaro. Così come lo è per l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), che si occupa, tra l’altro, di definire gli standard e i protocolli internazionali in materia d’Information and communication technology. L’ultima delle tre organizzazioni a spendere oltre metà del bilancio in stipendi è l’Ufficio per i servizi di supporto ai progetti sul campo (Unops), una sorta di consulente interno al sistema Onu. Anche in questo caso, dunque, nessuno scandalo se la percentuale è così alta.
Sul fronte opposto, l’ente con minore rapporto tra spese per stipendi e budget è la Unjspf, che amministra il fondo pensione cui contribuiscono tutte le organizzazioni per finanziare i trattamenti dei dipendenti Onu a riposo. Spende poco anche il Programma alimentare mondiale (Wfp), un’agenzia operativa specializzata in operazioni logistiche che interviene nella consegna di derrate alimentari. Ultimo esempio è l’Unicef, che opera nelle zone di conflitto per proteggere i bambini, garantirne i diritti e combattere il lavoro minorile. In parte, la bassa quota di spesa per retribuire il personale di questo ente si può spiegare con la presenza di molti dipendenti inquadrati come general service sul campo, che costano assai meno dei professional.
Bisogna però ricordare che le stime presentate, in alcuni casi, specie per le agenzie più grandi, sono inevitabilmente sottostimate. Soprattutto perché i dati forniti dal sistema Onu comprendono solo il personale con contratti di almeno 12 mesi. Ciò significa due cose: primo, mancano tutti i collaboratori che lavorano per meno di un anno per un’organizzazione, che sono molti soprattutto laddove si utilizzano risorse donate volontariamente dai singoli Stati o da privati per progetti di breve durata; secondo, non sono compresi i costi per i consulenti, che nella galassia Onu potrebbero costituire una bella fetta del totale. La leggenda metropolitana dell’Onu spendacciona, dunque, inizia a vacillare. Ma per sapere se crollerà bisogna aspettare il 2010, quando l’adozione degli Ipsas, i principi internazionali per la contabilità economico-patrimoniale nel settore pubblico, obbligheranno finalmente a fare chiarezza su questi dati.

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