Le Olimpiadi che si svolgeranno a Pechino nel 2008 potrebbero perdere il loro consulente artistico. E non un consulente qualsiasi: Steven Spielberg.
Il regista americano ha fatto sapere, tramite il suo portavoce Andy Spahn, che se il Governo cinese non assumerà posizioni più dure con il Sudan sulla situazione in Darfur, rinuncerà a dare il suo contributo. «Steven prenderà una decisione nelle prossime settimane», ha annunciato Spahn. «La sua scelta dipenderà da un atteso comunicato sul Sudan che Pechino dovrebbe diffondere nei prossimi giorni. Il nostro interesse principale è mettere fine al genocidio».
Con questa iniziativa il regista risponde alle critiche che gli sono piovute da un gruppo di star di Hollywood che gli rimproverano di non fare pressioni su Pechino perché modifichi la sua linea con Karthoum. Tra i due Paesi ci sono fortissimi legami economici: la Cina, che ha una inesauribile sete di energia, ha realizzato giganteschi investimenti nell'industria petrolifera sudanese. Forte della sua posizione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, si è più volte opposta all'invio di Caschi blu nella martoriata regione del Sudan. Ed è stata accusata da varie organizzazioni dei diritti umani di aver violato le leggi internazionali per aver venduto armi allo Stato africano.
Il possibile forfait di Spielberg è arrivato proprio nel giorno in cui è stato presentato a Ginevra un rapporto del Comitato dell'Onu per i diritti umani che denuncia «gravi violazioni, diffuse e sistematiche - inclusi omicidi, stupri, movimenti forzati di popolazione e attacchi contro i civili - commesse nell'impunità totale in Sudan e in particolare nel Darfur». Dove, dal 2003, ci sono stati oltre 200mila vittime e due milioni e mezzo di profughi. Il Comitato raccomanda al Governo di Khartoum di «assicurarsi che nessun sostegno finanziario o materiale sia indirizzato alle milizie che stanno compiendo pulizia etnica e attaccano direttamente i civili».
Da Parigi e Londra è partito intanto un appello congiunto al Sudan e ai ribelli del Darfur perché venga rispettato «un cessate il fuoco totale», e si sostenga così il processo politico avviato da Onu e Unione africana per una risoluzione della crisi in atto dal 2003.
E la Cina? Sta cercando «una soluzione che sia accettabile per tutti», ha dichiarato Liu Gujin, inviato speciale di Pechino nella regione. «Le accuse - ha avvertito - non ci porteranno da nessuna parte. Si deve imparare a trattare con il Governo sudanese: un Governo legittimo, che deve essere rispettato».