ATENE - La Grecia è una terra dove le dinastie politiche contano molto. Costas Karamanlis, primo ministro dal 10 marzo 2004, è il leader del partito di centrodestra Nuova Democrazia, formazione fondata da suo zio Constantine Karamanlis, già premier e politico di prima grandezza nel panorama dei partiti conservatori.
George Papandreou, lo sfidante del Pasok, il partito socialista, è figlio di Andreas, ex primo ministro e figura carismatica della lotta alla dittatura dei colonnelli, nonché nipote di George, suo nonno, due volte premier. Il voto di domenica, dunque, non è solo il consueto e un po' banale confronto tra destra e sinistra, o la più moderna contesa tra personalità carismatiche, ma soprattutto la sfida tra due famiglie, tra due mondi contrapposti, tra i rampolli di dinastie che si contendono la leadership del Paese da decenni.
Un legame con il passato talmente forte che ancora alle elezioni del 2004, dopo la morte di Andreas avvenuta nel 1996, lo slogan usato dal Pasok era «Andrea, zis! Esi mas odigis!», (Andreas è vivo e continua a guidarci).
Un bipolarismo di tipo dinastico che appassiona i media, i commentatori e i greci che rimpiangono i padri, i nonni o gli zii, e ripongono le speranze di un futuro migliore nei figli o nipoti delle due famiglie politiche del Paese. Una "dynasty" che come una saga televisiva fa sognare e mitizzare i leader politici in un profluvio di retorica e promesse a volte stravaganti.
«Ma il tempo dei miti è passato - dice Alexis Papachelas, commentatore politico di Kathimerini, il maggior quotidiano del Paese - siamo cresciuti credendo nella mitologia e in leader carismatici. Ma oggi siamo, grazie a Dio, nel solco dell'Unione europea. Il premier deve essere un direttore generale che ci assicuri la crescita economica, impedisca ai suoi sottoposti di rubare nelle casse dello Stato, garantisca la sicurezza pubblica. Non è molto, ma oggi i greci chiedono ai politici di risolvere i problemi pratici senza miti e favole».
A cambiare il panorama politico e i sondaggi, facendo saltare i piani del premier Karamanlis (che ha chiesto il voto anticipato) sono stati i roghi che hanno devastato, da giugno, 270mila ettari di territorio greco provocando 66 morti e una montagna di polemiche sull'efficacia dei soccorsi. Un disastro nazionale che ha scatenato manifestazioni di protesta contro il Governo: in piazza, in tutto il Paese, sono scese le persone comuni, tutte vestite di nero. L'ultima protesta è andata in scena l'altro giorno, quando 1.500 pompieri hanno ricordato davanti al monumento al milite ignoto ad Atene, in piazza Sintagma, i loro nove colleghi morti in agosto nel l'opera di soccorso. Per la guerra ai piromani i pompieri hanno chiesto più mezzi, miglior addestramento e un aumento del salario base che ammonta adesso a 670 euro mensili.
Così il fuoco ha bruciato anche le speranze del Governo Karamanlis di veleggiare tranquillo verso il secondo mandato sull'onda di un'economia in crescita del 4% annuo e la migliore stagione turistica da dieci anni.
I socialisti che erano sotto di tre punti, nonostante le riforme impopolari portate avanti dall'esecutivo, ora sono a mezzo punto, quasi un pareggio. Si tratta di dati semiufficiali poiché nelle ultime due settimane di campagna elettorale è vietata la pubblicazione sui giornali di qualsiasi sondaggio sulle intenzioni di voto.
Una situazione di estrema incertezza, a causa del sistema elettorale proporzionale greco con sbarramento al 3 per cento. Se uno dei due partiti maggiori avesse un vantaggio inferiore all'1,5%, verrebbe a mancare la maggioranza in Parlamento pari a 151 seggi su 300 totali. Un pasticcio elettorale talmente evidente che nell'ultima tribuna elettorale televisiva il premier, Costas Karamanlis, ha dichiarato che, se il suo partito vincesse le elezioni senza però ottenere in Parlamento la necessaria maggioranza per formare un nuovo Governo, si andrebbe inevitabilmente a nuove elezioni. E ciò perché non sussistono le condizioni per formare un Governo di coalizione. Con i socialisti del Pasok, il maggiore partito di opposizione guidato da George Papandreou, non è possibile, ha detto Karamanlis, perché tale soluzione è stata già esclusa dallo stesso leader socialista. Anche con il Laos, l'estrema destra di George Karatzaferis, «non possiamo collaborare - ha aggiunto il premier - perché è una formazione con posizioni estreme». Ma il Laos, movimento Ortodosso popolare, sull'onda della rabbia per i mancati soccorsi contro gli incendi nel Peloponneso, sta crescendo nei sondaggi al punto che potrebbe entrare come quinto partito in Parlamento e rubare voti preziosi proprio a Nuova Democrazia.
Una situazione imprevista che secondo la società di sondaggi Vprc significa che «il bipartitismo è più debole». Tendenza condivisa dalla Kapa Reserch secondo cui i roghi hanno bruciato i miti del bipolarismo dinastico tra i Karamanlis (dato al 34,9%) e i Papandreou (33,6%), per creare spazio, per ora solo nelle intenzioni di voto, all'estrema destra di Karatzaferis (4,1%), al partito comunista della signora Papariga (7,2%), e alla coalizione di sinistra Synaspismos (4,9%), guidata da Alekos Alavanos. Questa formazione sta raccogliendo molti consensi perché è l'unica a parlare dei problemi dell'ambiente in un Paese privo di catasto forestale.
Senza contare lo scandalo, ancora irrisolto a sei mesi dalla scoperta, della vendita di obbligazioni a prezzi gonfiati a fondi pensione statali. I roghi hanno bruciato anche i titoli dei giornali sulle rivelazioni dell'Unità greca contro il riciclaggio che ha provato il pagamento a prestanomi di forti commissioni (l'8 per cento) nell'affaire dei bond. A bruciare in questo caso è la credibilità dei controlli finanziari mentre la stampa sospetta la creazione di fondi neri per la politica mentre Karamanlis ha spazzato via le accuse affermando: «La giustizia farà il suo corso».