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Tra le stelle nel ricordo di Oriana

di Ugo Tramballi

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14 ottobre 2007

«È ora che tu decida cosa farai da grande», gli disse Oriana Fallaci. «L'astronauta», rispose il sergente maggiore della Folgore Paolo Nespoli, con qualche esitazione. Le montagne del Libano erano ormai una linea irregolare all'orizzonte. Era il 6 marzo 1984, la missione del contingente italiano del generale Franco Angioni era finita: male, ma l'esercito italiano aveva ritrovato il suo orgoglio. Sulla nave che riportava a casa gli ultimi soldati e qualche giornalista, c'era anche Oriana Fallaci. «Ok, qual è il problema, mi disse con il suo fare brusco - ricorda oggi Nespoli - se vuoi fare una cosa, anche l'astronauta, ci devi provare».
Alle 11.38 del 23 ottobre, ora di Cape Canaveral, Paolo Nespoli andrà nello spazio. La tuta arancione, il casco, l'imbragatura, three, two, one, l'impressionante spinta del razzo vettore e poi le stelle. «È l'esperienza che ho aspettato e immaginato per 40 anni. Non tornerò diverso, avrò solo dimostrato che ce l'ho fatta».
La missione Esperia/Sts-120 comandata dal colonnello dell'Air Force Pamela A. Melroy, alla quale Nespoli parteciperà con altri sei astronauti, porterà in orbita il Nodo-2: il modulo di connessione costruito dall'Italia per la Stazione spaziale internazionale. La missione costerà 4 miliardi di dollari e durerà un po' meno di due settimane.
È la parte che conta della missione. Ma accanto all'impresa collettiva dello shuttle, cui partecipano 57mila persone fra tecnici e scienziati della Nasa, dell'Esa e dell'Asi, le Agenzie spaziali europea e italiana, ce n'è un'altra personale. Appunto quella di Paolo Nespoli, nato 50 anni fa a Milano e cresciuto a Verano Brianza. Il chierichetto, le partite di calcio all'oratorio, una madre apprensiva, un padre bancario, i soldi da usare con parsimonia. Non c'è ragazzino che non abbia sognato di fare l'astronauta, guardando i salti di Neil Armstrong sulla luna. A tutti noi prima o poi è passata, a Nespoli mai.
La decisione di arruolarsi nella Folgore e di restarci anche dopo la ferma obbligatoria fu il modo che usò per lasciare la provincia e una famiglia apprensiva. Paracadutista, istruttore, incursore. «Dicevano che Pisa fosse il posto più oppressivo dell'esercito italiano, ma io mi ci trovavo benissimo». Nel settembre 1982, quando gli italiani furono chiamati a garantire l'incerta pace del Libano, Nespoli arrivò tra i primi.
Angioni lo chiamò subito nel suo quartier generale a occuparsi di foto e giornalisti con il capitano Corrado Cantatore, detto "Charlie", a quei tempi il nostro Lawrence d'Arabia. «Protestai, dissi che ero appena diventato incursore e non mi andava di fare foto. Lo so, rispose, ma qui comando io. E fu tutto». Paolo era simpatico ma timido, efficiente ma di poche parole. Ogni volta che entrava al comando, sulla strada per l'aeroporto, Oriana Fallaci chiedeva di lui. E sulla nave che riportava tutti in Italia fu lei a fargli capire che per quanto infantile e illusorio fosse dire «voglio fare l'astronauta», valeva la pena provarci. «Quando vado a parlare nelle scuole - perché anche questo è il lavoro di un astronauta - ai ragazzi dico sempre che non bisogna smettere di sognare e di osare: si possono fare anche le cose più strane se le si fa con serietà», dice Nespoli nella sua casa di Houston. La partenza per Cape Canaveral ormai è imminente. Tra poco incomincerà la quarantena che precede la missione. «Si, l'Oriana è stata importante. Ma anche Angioni. Devo molto al professor George Bugliarelli del Politecnico di New York e al professor Gianfranco Cirri al cui laboratorio di ricerca spaziale di Firenze ho lavorato».
Perché dopo il viaggio in nave dal Libano, Nespoli ha fatto un corso accelerato d'inglese ed è diventato ufficiale; con l'indennità di missione in Libano si è pagato l'università a New York ed è diventato ingegnere aerospaziale; si è candidato alla selezione di astronauta di shuttle, non è passato, ha fatto lo scienziato dal professor Cirri che ha inventato il cannone a elettrodi, ha riprovato l'esame da astronauta, riuscendoci fra 400 aspiranti. «Quando presentai le dimissioni dall'esercito, il comandante del Distretto militare di Milano mi disse che ero matto: lasci questa carriera di ufficiale per fare l'astronauta? Ma Angioni non rise né si stupì. Disse solo di continuare». Paolo resta comunque con orgoglio maggiore della riserva.
Della vera carriera di Paolo Nespoli, quella di self made man, i mentori sono diversi. Ma di Oriana Fallaci non ama parlare, come fosse un ricordo sofferto. Nespoli in realtà è Angelo, uno dei protagonisti di "Inschallah". «L'Oriana viveva a New York ma non aveva mai smesso di sentirsi italiana. Venne a Beirut, vide come ci comportavamo e ne fu colpita, decidendo di dedicarci un libro. Ma "Inschallah" è un romanzo, non un articolo. A volte mi riconosco in Angelo, a volte no». Altri pagherebbero per rivendicare il ruolo d'ispiratore di un'opera di Oriana Fallaci. Lui no, ufficialmente ci rinuncia. «Quando studiavo a New York mi chiedeva un chiarimento, cosa pensassi di questo o quel personaggio, ma non ne sono stato l'ispiratore... L'Oriana era straordinaria ma difficile. Un momento ti faceva sembrare in paradiso. Poi piombavi all'inferno: quando ti ci spingeva, restavi lì per un bel po'».
"Scientific American", la rivista più importante del settore, scrive questo mese che lo shuttle è il mezzo «più pericoloso per andare dal punto A al punto B». Calcolando le vittime degli incidenti stradali e dello spazio, moltiplicando il numero di persone trasportate e i chilometri fatti, il giornale stabilisce che le fatalità per 100 milioni passeggeri - ora sono 32 sulle auto e 52.599 sullo shuttle. «Ah, non ci penso», ride Paolo sapendo che invece ci pensa come ogni astronauta.
«Sono nervosa, anche se sono cresciuta fra i cosmonauti», dice sottovoce Sonia, la giovane moglie russa, mentre Nespoli va a rispondere sul computer a una mail del sindaco di Verano: gli ricorda di mandare una cartolina a don Peppino, il vecchio parroco. Paolo e Sonia si sono conosciuti qualche anno fa quando lui era in missione alla "Città delle Stelle", 25 km a Est di Mosca. Figlia di un istruttore di cosmonauti, Sonia è nata e cresciuta lì. Un amore che 20 anni fa non sarebbe potuto accadere. La sola traccia di Guerra fredda è come chiamano chi va nello spazio: un astronauta per Nespoli, un cosmonauta per lei.
«Lo shuttle era stato fatto per andare e venire dallo spazio 53 volte l'anno. Finora ha fatto solo 100 viaggi: è un veicolo sperimentale di 30 anni», spiega Nespoli, dopo aver risposto al sindaco. I problemi e i guasti di una macchina così delicata e fantastica spiegano perché Paolo andrà nello spazio a 50 anni. «La classe numero 17 è la più sfortunata fra quelle degli astronauti alla Nasa. Potevamo incominciare a volare 8 anni fa, il primo di noi lo ha fatto l'anno scorso. La vita di un astronauta dovrebbe incominciare a 35 anni e durare 10, almeno con tre missioni. A 45 anni entri nel management a portare la tua esperienza. Qui invece sono diventato vecchio e ancora mi chiamano rooky, pivello. Prima di ritirarmi, forse riuscirò a fare una seconda missione. Poi voglio tornare in Italia a lavorare, a restituire un po' di quello che ho avuto. Sono convinto che si possa fare molto in Italia».
Le serate a Houston sono ancora calde. Nell'umidità le stelle s'intravvedono appena. «Un anno d'addestramento per andare lassù e vedere un'alba ogni 20 minuti», constata Paolo. Tanto sognare, studiare, ostinarsi, addestrarsi per andare forse due volte nello spazio. «Vuoi dire se ne vale la pena? È una domanda logica ma la cosa migliore che nella vita può capitare è fare quello ti piace. Non dirlo alla Nasa, ma qui mi pagano pure».

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