Il vento della ripresa soffia sulle piccole e medie imprese, anche se permangono alcune aree di debolezza.
A rivelarlo è la XXV indagine congiunturale realizzata dall’Area Studi di Capitalia condotta su un campione di 633 aziende da 11 a 500 addetti.
La caduta dei livelli di produzione e la contrazione degli ordini che aveva segnato il 2005, e che proseguiva ormai dal 2001, è dunque alle spalle. E il rilancio dell’attività produttiva, sottolinea il rapporto dell’istituto bancario, è sorretto soprattutto dalla domanda interna che ha favorito la riduzione della forbice tra l’andamento della produzione industriale nazionale e quello delle pmi manifatturiere.
Nel mercato interno, si legge nell’indagine, la produzione e gli ordini (dati destagionalizzati) hanno registrato nel primo semestre 2006 incrementi, rispettivamente, dell’1,8% e del 2,1% rispetto all’ultimo scorcio del 2005. Più contenuto l’avanzamento sul fronte estero dove gli aumenti si attestano all’1,3% per la produzione e allo 0,6% per gli ordini. Una divaricazione collegata, secondo Sergio Lugaresi responsabile Area studi Capitalia, in parte «al recupero fisiologico di una domanda eccessivamente depressa» considerando che i livelli della produzione e degli ordini esteri si mantengono comunque nettamente al di sopra delle corrispondenti quote interne.
A pigiare sul pedale dell’acceleratore è soprattutto il Mezzogiorno che mostra significativi incrementi della produzione e degli ordini, sia sul fronte interno che estero, e si posiziona così nel secondo trimestre in linea con i livelli del Centro-nord.
Il quadro illustrato dall’indagine, però, non nasconde alcune ombre. Sintetizzate dall’aspetto dimensionale delle imprese, che continua a rivelarsi un ostacolo alla competitività. E incide sulla percezione da parte delle aziende della propria capacità di destreggiarsi sui mercati internazionali. Perché le imprese piccole (11-50 addetti), più rannicchiate sul versante interno, guardano con preoccupazione ai mercati oltreconfine e presentano un sentiment negativo. Che tende a scomparire, soppiantato da una consistente ottimismo, nelle aziende medie (51-250 addetti) e medio-grandi (251-500).
La ripresa dunque corre a velocità differenziata in relazione alla dimensione. Ma non è uniforme nemmeno a livello di comparto. Perché, in linea con quanto segnalato dai dati Istat, l’indagine di Capitalia mostra una maggiore dinamicità del settore dei beni di investimento, mentre dal comparto dei beni di consumo i segnali di recupero sono ancora poco incoraggianti. E non si esclude che la forbice tra i due segmenti possa ampliarsi anche nel futuro tenendo conto che nei beni di investimento, diversamente da quanto accade nei beni di consumo, il saldo tra chi prevede un aumento della produzione e chi intravede un peggioramento nei prossimi mesi è positivo e vi sono buone aspettative di crescita anche sul fronte export.
Sul versante dei prezzi alla produzione, trainati soprattutto dai beni intermedi, il semestre mostra una tendenza all’aumento, in corso dall’inizio del 2005, che è legata soprattutto al rincaro dei prodotti energetici. Gli incrementi più significativi, rivela il rapporto, hanno interessato il mercato estero. Un dato che sembra in linea con l’andamento in crescita dei valori medi unitari delle esportazioni italiane, che l’Istat ha registrato sia nel 2005 che nei primi mesi di quest’anno. Un incremento che, se collegato alla sostanziale stasi dei volumi esportati, deve essere letto come l’effetto di un eventuale riposizionamento delle esportazioni italiane su una gamma di prodotti di fascia più elevata.
Un’Italia delle pmi, insomma, a due velocità. Che continua a perdere colpi nei beni di consumo rappresentati dal Made in Italy più tradizionale. E che vede le piccole aziende alle prese con una strategia difensiva di nicchia, osserva Lugaresi, che porta a spingere sul pedale dei prezzi. Per conservare i margini di profitto pur rinunciando a nuove quote di mercato. Mentre le imprese medio-grandi si muovono alla ricerca di un riposizionamento su prodotti di gamma e prezzi superiori nel tentativo di conquistare settori dove più alto è il livello di innovazione.