Rischio di paralisi per gli atenei se non saranno modificati i tagli in Finanziaria. «Non ci sono soldi per la gestione quotidiana e in queste condizioni non si tratta più di stringere la cinghia,perché si rischia il soffocamento ». È il grido d'allarme lanciato ieri a Roma da Guido Trombetti, presidente della Conferenza dei rettori (Crui), che — in occasione dell'annuale relazione sullo stato delle università — ha elencato tutti i numeri della crisi. «L'illogico decreto Bersani taglia le spese degli atenei per 250 milioni di euro, quando ne servirebbero tra i 500 e i 550 per garantire il funzionamento del sistema — ha detto il presidente Crui, ricordando che«per tornare al punto di partenza di cinque anni fa occorrerebbe un miliardo di euro ».Solidale con i rettori il ministro dell'Università, Fabio Mussi: «Il taglio ai consumi è un errore madornale, una batosta pesantissima — ha dichiarato il ministro intervenendo alla relazione — e va modificato». Ma per Giuseppe Valditara,responsabile scuola e università di An, «si tratta di una clamorosa retromarcia, perché già a luglio Mussi aveva annunciato che in assenza di correzioni al decreto Bersani si sarebbe dimesso. Siamo disposti a collaborare per trovare le risorse necessarie— ha aggiunto — ma se l'obiettivo non sarà raggiunto Mussi dovrà agire coerentemente con le sue dichiarazioni».Mentre per Rocco Buttiglione (Udc) «Mussi non può dire che i tagli sono colpa della situazione dei conti pubblici, perché la manovra necessaria era di soli 15 miliardi di euro e ne è stata fatta una che vale tra il doppio e il triplo».
Alla Crui sono giunti anche i messaggi del presidente del Senato Franco Marini («L'università è fondamentale per affrontare la sfida del cambiamento»), e di quello della Camera Fausto Bertinotti («Primario il ruolo della conoscenza per superare i divari sociali)».
L'Italia spende 7.241 euro per ogni studente, contro i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania. Sul fronte della ricerca, poi, il nostro Paese, secondo l'Istat, ha speso nel 2003 appena l'1,14% del Pil, addirittura meno di Repubblica Ceca e Slovenia. Ma non sitratta solo di mancanza di fondi. La riforma universitaria, che ha introdotto nel 20012002 il "3+2", ha prodotto buoni risultati ma anche «disfunzioni», dice la Crui.Prima della riforma si immatricolava il 70% dei diplomati, nel 20042005 si è arrivati a quota 76,8 per cento. I laureati sono passati dai 161mila del 2000 ai 301.300 del 2005,ma quasi il 95% di chi ha conseguito la laurea triennale prosegue negli studi. Nell'anno accademico 20052006, poi, si registra una percentuale di studenti fuori corso pari al 46 per cento: «Se venisse confermata — dice la Crui — sarebbe la più alta dell'ultimo decennio». Su alcuni effetti negativi della riforma i rettori fanno autocritica: con i nuovi ordinamenti i corsi sono aumentati del 122,3%, mentre l'eccessiva frammentazione degli insegnamenti ha portato il numero medio dei docenti di ruolo per corso da 21 unità a 11.
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