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Eurispes: più morti negli incidenti sul lavoro che nella Guerra del Golfo

di Nicoletta Cottone

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22 maggio 2007

il testo dell'indagine Eurispes


La piaga degli incidenti sul lavoro in Italia ha causato più morti della seconda Guerra del Golfo. Lo studio dell'Eurispes «Infortuni sul lavoro: peggio di una guerra», presentato nella mattinata alla Camera dei deputati, ha calcolato come dall'aprile 2003 all'aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti: queste le cifre del fenomeno secondo l'Eurispes. Un dato «impressionante», secondo il presidente della Commissione attività produttive della Camera Daniele Capezzone, che ha commissionato all'Eurispes lo studio. Infortuni che costano ogni anno alla comunità 50 miliardi di euro. Secondo Capezzone è necessario intervenire «con le imprese, anziché vessarle fiscalmente e burocraticamente, occorre fare un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti». Nel mirino, dunque, il meccanismo dei subappalti, nei quali di risparmia sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, spesso scegliendo maestranze poco preparate e precarie.


Di notevole gravità è il dato segnalato dal presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara è che in 25 anni non sono stato fatti significativi passi avanti: dal confronto dei dati di questo rapporto con quelli di una vecchia indagine dell'istituto, le cifre restano più o meno le stesse. Elaborando i dati Inail, l'Eurispes ha messo in evidenza che ogni anno dal Nord al Sud muoiono in media 1.376 persone per infortuni sul lavoro. L'edilizia si conferma come settore ad alto rischio, visto che poco meno del 70% dei lavoratori (circa 850) perdono la vita per cadute dall'alto di impalcature nell'edilizia. Fra le cause seguono il ribaltamento del trattore in agricoltura e gli incidenti stradali nel trasporto merci per le eccessive ore trascorse alla guida. L'età media di chi perde la vita sul lavoro è di circa 37 anni. Ogni incidente, dunque, visto che la vita media è di 79,12 anni, comporta una perdita di vita pari a 42 anni.


In pericolo più gli uomini delle donne: le donne infortunate sono in media il 25,75% e i decessi si attestano su un valore medio del 7,7 per cento. La percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è dell'11,71%, mentre quella dei decessi è del 12,03%: una sostanziale uguaglianza anomala, segnala il rapporto, dato che per i lavoratori italiani la percentuale degli incidenti è di gran lunga superiore a quella dei morti. Segno, secondo l'Eurispes, che molti infortuni non vengono denunciati.
Nei trasporti il tasso medio di incidenti si attesta su posizioni più elevate, mentre nell'industria si registra il valore più basso. Osservando l'andamento delle morti bianche nel periodo 2003-2005, l'Eurispes evidenzia un picco nel 2004 nel settore agricoltura, passata da 129 morti (2003) a 175 (2004) per poi ridiscendere a 127. Si registra anche un decremento nell'industria e nei servizi, passati dai 1.308 morti del 2003 ai 1.137 del 2004 e ai 1.065 del 2005. Sostanziale stabilità del settore pubblico (12-16-14).


La provincia con il maggiore tasso di incidenti (anno 2005) è Taranto (11,33), seguita da Gorizia e Ragusa. La Regione con più incidenti mortali in assoluto (anno 2003) è invece la Lombardia, seguita dall'Emilia Romagna. Si tratta, però, di un dato, precisa il rapporto, che non tiene conto della dimensione della popolazione a rischio di incidenti, cioè degli occupati. Se si rapporta invece il numero di morti al numero di ore lavoro o al totale degli addetti, la regione con la maggiore incidenza di morti bianche è il Molise, seguita da Basilicata e Calabria e in genere da regioni del Sud.
Tra le cause degli incidenti si annoverano la scarsa padronanza della macchina, l'assuefazione ai rischi (abitudine e ripetitività dei gesti), la banalizzazione dei comportamenti di fronte al pericolo, la sottostima dei rischi, la diminuzione dell'attenzione nel lavoro di sorveglianza, il mancato rispetto delle procedure, l'aumento dello stress, la precarietà del lavoro legata a una formazione insufficiente e la manutenzione eseguita poco o male. Una efficace prevenzione deve puntare su formazione e addestramento, sul rispetto degli ordini, dei divieti e delle indicazioni, sul corretto uso dei dispositivi di protezione individuale, sul rigido rispetto delle procedure quando la sicurezza tecnica non basta. Dalla relazione emerge che l'inefficacia dell'azione di prevenzione e di controllo è imputabile a una mancanza di strategia centrale. «Allo stato attuale - chiude il rapporto – l'Inail è l'unico ente in grado di gestire la prevenzione e la componente assicurativa e di promuovere pratiche virtuose sui luoghi di lavoro per sostenere, promuovere ed estendere il sistema partecipato, già previsto dalla normativa vigente, ma ancora ampiamente disatteso». Fra i suggerimenti dello studio, accanto alla maggiore chiarezza sulle competenze dell'Inail e allo snellimento del corposo sistema normativo, emerge la richiesta di istituzionalizzazione del finanziamento alle imprese per la sicurezza e la prevenzione stabilito in via sperimentale dal Dlgs 38/2000, utilizzando i fondi Inail.

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