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Stop alla Camera ai portaborse in nero. Ddl ad hoc al Senato

di Nicoletta Cottone

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14 maggio 2007

Per dare regole alla situazione dei portaborse al Senato è in arrivo un disegno di legge ad hoc ed è allo studio il varo di un contratto nazionale collettivo di lavoro, mentre alla Camera, dove da oggi scattava il divieto di ingresso ai portaborse senza contratto, è stata scelta la linea morbida, senza controlli all'ingresso. Su questo fronte dall'Ufficio di presidenza potrebbe arrivare già mercoledì mattina una proroga in risposta al pressing di quei deputati che hanno avviato le pratiche per regolarizzare i collaboratori. Nonostante, però, sia scaduto l'ultimatum del presidente della Camera Fausto Bertinotti per la regolarizzazione dei portaborse in nero, i tempi di risoluzione del problema si annunciano lunghi. La denuncia del marzo scorso da parte del programma di Italia Uno «Le iene», aveva nuovamente portato alla ribalta l'annoso problema, che prima si era consumato solo nelle aule di Camera e Senato, di legislatura in legislatura. L'inchiesta condotta dalle Iene aveva messo in luce che a Montecitorio su 683 collaboratori degli onorevoli deputati solo 54 erano in regola.

Percorsi a due vie per Camera e Senato. Oggi a distanza di due mesi non è cambiato molto, anche se alla Camera l'Ufficio di presidenza ha adottato una delibera con precisi paletti. «Tutti gli assistenti accreditati - spiega l'onorevole Francesco Piro (Ulivo) - dovranno avere un regolare contratto di lavoro. Scompariranno, dunque, i cosiddetti volontari». Dentro i locali, precisa il questore della Camera Gabriele Albonetti (Ulivo) «potranno entrare solo i collaboratori per i quali i parlamentari abbiano depositato copia del contratto vistato da esperti della materia». È stato anche presentato un disegno di legge nel quale l'onorevole Luciano D'Ulizia (Italia dei valori) invitava i parlamentari a costituire enti o cooperative per assumere gli assistenti, con una maggiorazione del 50% della quota mensile di rimborso forfetario per le spese di rapporto con l'elettorato. Proposta che peserebbe ben 22 milioni di euro sui bilanci di Camera e Senato. A Palazzo Madama, invece, è stato nominato il comitato ristretto, costituito da due senatori della maggioranza e due dell'opposizione, che sta elaborando un disegno di legge ad hoc e sta studiando l'opportunità di un contratto collettivo nazionale per i collaboratori dei parlamentari.

In questa legislatura a sollevare il velo sulla controversa vicenda dei portaborse in nero aveva contribuito lo scorso anno il senatore Antonio Paravia (An) che appena eletto si era visto invadere la casella di posta di Palazzo Madama da lettere di persone che si offrivano come collaboratori. Una piccola indagine svolta ascoltando i precari che si erano proposti aveva messo in luce che moltissimi collaboratori, precari anche da oltre dieci anni, guadagnavano dai 500 ai 1.500 euro, a seconda dell'impegno profuso, lavorando senza alcun tipo di contratto. Complice, al Senato, come spiega in una lettera del 28 luglio 2006, il segretario generale di Palazzo Madama, il fatto che «il contributo per il supporto di attività e compiti degli onorevoli senatori connessi con lo svolgimento del mandato parlamentare - erogato mensilmente - non ha alcun vincolo di destinazione rispetto a eventuali prestazioni lavorative svolte da terzi, o a possibili configurazioni contrattuali, né in particolare, può essere messa in relazione con la facoltà, concessa ai senatori, di accreditare due collaboratori esterni». La soluzione pilatesca adottata dal Senato consente, infatti, un rimborso forfetario per tutte le attività di supporto utili a mantenere il contatto del senatore con l'elettorato del collegio di riferimento (attualmente si tratta di circa 4.600 euro). Diversa la soluzione adottata alla Camera, dove gli onorevoli deputati ottengono un rimborso per l'ausilio di due collaboratori, attualmente pari a 4.180 euro, che molti, però, incassano lo stesso. «Il problema - sottolinea Paravia - è che chi non ha collaboratori o li ha in nero non dovrebbe percepire nulla». Ora il Comitato nominato a Palazzo Madama, spiega Paravia, «sta raccogliendo le delibere sul trattamento dei collaboratori adottate a Bruxelles, in altri Paesi dell'Unione e nelle Regioni italiane per studiarne analogie e diversità e giungere all'elaborazione di un testo condivisibile».


La roulette degli stipendi. Per gli assistenti dei parlamentari, dunque, che hanno risposto alle domande del Sole 24 Ore.com, ma che preferiscono non essere citati, lunghi anni di lavoro nero malpagato, sperando nella fortuna del parlamentare, con due opzioni finali: l'oblio se l'onorevole a fine legislatura non veniva rieletto o l'inquadramento con un contratto a termine se il parlamentare aveva la fortuna di ottenere un incarico nel corso della Legislatura, per esempio, come questore, vicepresidente o segretario di presidenza. In questo caso per il portaborse è come vincere un terno al lotto: l'inquadramento a termine, legato al mantenimento della carica dell'onorevole, è a carico dell'amministrazione e lo stipendio può variare, in base all'inquadramento, da un minimo di 2mila euro fino a 6mila, con quindici mensilità, tredicesima e Tfr. Alla Camera, infatti. esistono decreti di nomina per gli assistenti che prevedono un trattamento economico parificato ai livelli funzionali dei dipendenti della Camera.
Già nella fase di elaborazione della Finanziaria per il 2007 era stato studiato un emendamento che prevedeva che in caso di cariche pubbliche elettive il contratto a tempo determinato avesse la durata del singolo mandato. I deputati questori della Camera avevano, però, respinto l'emendamento, rilevando profili di inammissibilità.
La necessità di trovare una soluzione era stata messa in luce da una serie di ordini del giorno firmati dagli onorevoli Rino Piscitello (Ulivo) e Francesco Piro (Ulivo) e dal senatore Antonio Paravia (An) che, senza entrare nel merito del rapporto fiduciario fra parlamentare e collaboratore, assicurasse però un rapporto rispettoso della legislazione vigente, evitando che proprio in Parlamento si registrassero episodi di evasione fiscale, contributiva e assicurativa.
Per gli assistenti parlamentari il ministero del Lavoro, in una lettera dell'agosto dello scorso anno, aveva lasciato ampia discrezionalità nell'inquadramento: subordinazione, autonomia o collaborazione a progetto. Sul fronte dell'inquadramento, sempre secondo il ministero, non sussistono ostacoli alla commisurazione economica della retribuzione dei lavoratori a quella dei collaboratori degli studi professionali. L'associazione dei portaborse ritiene la soluzione «un palliativo per salvare la faccia, tralasciando il fatto che ognuno deve lottare individualmente per avere uno stipendio dignitoso». I portaborse raccontano di lavoro in nero anche per 4 legislature di fila, di ferie non pagate, anche se l'onorevole incassava l'indennità, di maternità senza alcun riconoscimento. Per ora molto è affidato alla fortuna, visto che lo stipendio è lasciato alla discrezionalità del parlamentare e un portaborse può trovarsi a guadagnare da 500 a 6mila euro. Visto il rapporto fiduciario con il parlamentare, però, può anche restare da un giorno all'altro senza lavoro.

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