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Germania: cinque motivi per non rallentare le riforme

di Antonio Pollio Salimbeni

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8 giugno 2007


Mai come in questo periodo la Germania è diventata un punto di riferimento nell'Unione. Fino a poco tempo era la malata d'Europa, quest'anno invece la crescita del Pil sfiorerà il 3 per cento. Non solo, è riuscita pure a scrollarsi di dosso la procedura per deficit pubblico eccessivo con un anno di anticipo.
Ora ci si chiede non più quanto durerà la ripresa, ma se è ciclica, temporanea, oppure se l'economia tedesca stia tornando a un potenziale di crescita più elevato (attorno
all'1% nell'ultimo decennio e ora all'1,25%). La risposta della Commissione europea è che siamo di fronte a cambiamenti strutturali, tanto che è giusto parlare di una "riemersione" della Germania come potenza economica continentale.
Nell'ultimo "country focus" elaborato dalla direzione generale Affari economici, vengono passati in rassegna i fattori strutturali che hanno contribuito ad aumentare la
crescita potenziale e quelli che hanno contribuito a ridurla. Da una parte recupero di competitività da costi grazie a moderazione salariale (-20% costi unitari nominali del lavoro dal 1995), ristrutturazione delle imprese e outsourcing, riduzione dei trasferimenti all'Est per la riunificazione, ripresa del settore delle costruzioni, riforme del mercato del lavoro. Qui siamo già «oltre miglioramenti puramente ciclici».
Dall'altra parte bassa intensità di capitale per ogni lavoratore (quantità di macchinari a sua disposizione per produrre), elevata disoccupazione di lungo termine, concorrenza dei Paesi vicini nell'attrarre investimenti.
La bilancia pende chiaramente dalla parte dei fattori positivi che hanno potuto dispiegare i loro effetti benefici nonostante l'euro forte e tassi di interesse reali superiori di circa 0,50% rispetto alla media eurozona a causa dell'inflazione più bassa.
La conclusione degli economisti Heinz Jansen e Michael Stierle è che va tutto bene, ma affinchè la crescita potenziale aumenti e arrivi al tasso massimo di espansione
sostenibile senza generare pressioni inflazionistiche, è necessario che non ci si fermi a due terzi del guado.
Sono cinque i campi sui quali il governo tedesco deve misurarsi senza perdere tempo. Il primo riguarda i salari: sono moderati perchè i negoziati sono centralizzati, ma non riflettono "adeguatamente" i differenziali nella produttività e nell'andamento dei profitti. Il secondo riguarda il credito, fonte primaria di finanziamento: le grandi imprese godono sempre della fiducia delle banche, le start-up no. Il terzo campo di azione riguarda l'ambiente pro business: sono ancora troppi gli oneri amministrativi per avviare un' attività. Il quarto riguarda la specializzazione produttiva: la Germania mantiene forti posizioni nella manifattura tradizionale (auto, chimica, macchinari), è debole nei servizi e l'innovazione è concentrata nelle grandi imprese e «volta a razionalizzare e ridurre i costi piuttosto che a sviluppare nuovi prodotti».
Infine l'educazione: la Germania non è più un serbatoio di lavoratori ad alta qualificazione, gli studenti tedeschi hanno risultati in matematica e scienze inferiori alla media europea, frequentano le aule per meno tempo e non c'è mobilità tra i diversi settori educativi. Conclusione: il sistema tedesco «non riesce ancora a mobilitare pienamente le proprie risorse potenziali».

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