Giovedì scorso il presidente della Bce Jean Claude Trichet aveva fatto chiaramente intendere che la discussione in corso in Italia sulla questione riserve viene seguita «molto attentamente». Il punto essenziale, da sempre sostenuto all'Eurotower e ribadito anche in questi giorni, subito dopo la risoluzione politica sul Dpef presentata dalla maggioranza alla Camera, è che le Banche centrali del Sebc dispongono in piena autonomia delle loro riserve. In sostanza, nessuno le può obbligare. E qualunque legge che facesse seguito alla risoluzione politica del Parlamento, volta a imporre a Bankitalia la vendita dell'oro o delle riserve aurifere, sarebbe ritenuta dalla Bce in conflitto con il principio dell'indipendenza istituzionale di Via Nazionale. Inoltre, a seconda dell'entità dell'intervento progettato, potrebbe anche configurarsi un conflitto con il principio della sua indipendenza finanziaria (si tratta di due principi tutelati dal Trattato europeo). Di fatto, il messaggio che viene da Francoforte è: «Riserve aurifere off limits».
Le vendite d'oro, che pure vengono effettuate (ieri, ad esempio, la Banca di Spagna ha comunicato di aver venduto a luglio 24,8 tonnellate) seguono in effetti una prassi che ha confini ben precisi: «La prassi – hanno spiegato all'agenzia Radiocor fonti vicine all'Eurotower – è che i proventi delle vendite, che possono essere effettuate in piena autonomia da ogni singola Banca centrale, entro i limiti del Gold Agreement del 2004, vengano reinvestiti in titoli di Stato, una voce che comporta un reddito in termini d'interesse. Questo reddito sarebbe l'unica parte iscritta al conto profitti e perdite della Banca centrale nazionale e, a fine esercizio, trasferita al Tesoro». È una prassi nella quale si può far rientrare anche il caso francese (la decisione del 2004 di vendere 500-600 tonnellate d'oro in cinque anni, con il ministero delle Finanze retto da Nicolas Sarkozy). Infatti, i proventi sono rimasti nell'attivo della Banca centrale francese e solo gli interessi, pari a 200 milioni di euro l'anno circa, vengono corrisposti al Tesoro.
La Banca centrale austriaca, invece, ha richiesto un parere alla Bce nel 2003 per un caso molto specifico: la creazione di un fondo pubblico nel quale la Banca d'Austria versa 75 milioni di euro l'anno provenienti dalla gestione delle proprie riserve, dopo uno stanziamento iniziale di 1,5 miliardi, i cui profitti servono a finanzare progetti di ricerca.Il progetto è stato autorizzato, con riserva, da Francoforte, perché la sua entità non mette in pericolo l'adempimento dei compiti di sistema da parte della Banca centrale. Quanto al parere Bce dell'ottobre 2003, su richiesta del ministro delle Finanze finlandese che voleva riorganizzare, per via legislativa, le riserve della Suomen Pankki, il verdetto fu negativo: «La Bce ritiene che la proposta sia incompatibile con il Trattato e le sue intenzioni». Diversa la sorte di un progetto irlandese del 2001 per trasferire parte delle riserve al fondo di previdenza nazionale: il piano fu respinto dalla Bce; ma non fu bocciato da Francoforte un successivo accordo fra Governo e Banca centrale per la retrocessione al bilancio pubblico degli interessi.
Infine, i vari casi tedeschi: la Germania del ministro delle Finanze Theo Waigel incassò un secco no dalla Bundesbank nel 1997; nel 2004, poi, il ministro Hans Eichel propose alla Bundesbank un piano per investire gli interessi ricavati dalla vendita delle riserve, per progetti di ricerca e sviluppo: all'inizio ebbe il consenso del Governatore Ernst Welteke, ma successivamente prevalse all'interno della Buba una posizione contraria e il Governo decise di abbandonare il progetto.