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Taglio CO2, Marchionne chiede tempo alla Ue: «Il rischio è la delocalizzazione»

di Giampiero Bottino

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12 settembre 2007

Le case automobilistiche europee non contestano il limite dei 120 g/km di CO2 (calcolati sulla media delle emissioni dell'intera gamma) che la Commissione Ue ipotizza di introdurre. Ma sono compatte nel rifiutare il metodo, giudicato più o meno alla stregua di un diktat, i tempi e i costi. Lo ha ribadito a nome di tutti Sergio Marchionne, nella sua veste di presidente dell'Acea, l'associazione dei costruttori continentali.
Nel corso di una conferenza stampa svoltasi al Salone di Francoforte Marchionne, affiancato dai numeri uno di tutti i grandi gruppi europei, ha ribadito la necessità di un approccio integrato per arrivare a una soluzione che non può essere accollata alla sola industria dell'auto, ma richiede la partecipazione i più soggetti: alla tecnologia, che ha già portato a ridurre del 90% tra il 1990 e il 2001 le emissioni inquinanti, e del 13% tra il 1995 e il 2005 la CO2 prodotta dalle automobili nuove, si devono aggiungere altre componenti: carburanti alternativi, diffusione di una cultura più ecologicamente corretta delle abitudini di guida degli automobilisti, interventi infrastrutturali finalizzati alla fluidità del traffico, una tassazione uniforme a livello continentale e commisurata ai livelli delle emissioni di CO2.
Marchionne ha spiegato perché i costruttori ritengano improponibile la scadenza del 2012 prevista dall'Unione europea per l'entrata in vigore dei nuovi limiti: «Dall'avvio del progetto all'arrivo sul mercato, lo sviluppo di un'automobile richiede in media sei anni. Ciò significa che se la norma definitiva dovesse essere varata nel 2009, i modelli progettati per soddisfare il nuovo quadro normativo non potrebbero arrivare prima del 2015».
L'altro aspetto è quello della compatibilità economica, di cui la regolamentazione «dovrebbe essere consapevole» ma che, se trascurata, potrebbe avere conseguenze devastanti su un settore che in Europa occupa 2,3 milioni di addetti diretti e 10 milioni indiretti. L'ipotesi di massicce delocalizzazioni non è da scartare se la situazione, commenta Marchionne, dovesse indurre a cercare in Paesi a basso costo del lavoro la compensazione ai maggiori oneri derivanti da normative economicamente non sostenibili.
«Un rischio – ha precisato indossando per un attimo il "cappello" di numero uno del Lingotto – che la Fiat non corre. Perché noi non siamo i più costosi». Infatti – anche se il presidente dell'Acea non lo ricorda – sono stati i colossi tedeschi ad adombrare, neppure troppo velatamente, "migrazioni" produttive verso Paesi low cost.
Braccio di ferro forse, ma non rottura: «Continuiamo a lavorare con la Commissione per arrivare a una soluzione condivisa e sostenibile. E credo che la Commissione capisca che non c'è un problema di volontà da parte dell'Acea, ma solo delle perplessità di tipo tecnico».

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