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Più ore in classe, ma voti bassi

di Andrea Casalegno

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19 settembre 2007

L'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha presentato ieri a Londra e Berlino il suo rapporto biennale sull'istruzione Education at a Glance 2007. Continua un trend moderatamente positivo, messo in luce soprattutto dalla crescita dei laureati, che però non basta a sanare i difetti cronici del sistema educativo italiano.
I laureati, rileva l'Ocse, sono più che raddoppiati dall'anno 2000 al 2005: dal 19 al 41% della rispettiva fascia di età. Per la prima volta viene superata la media Ocse (36%): un risultato notevole, che l'Ocse attribuisce alla riforma – in Italia molto criticata – che ha creato la laurea triennale. Ma se si guarda all'interno dei dati il discorso cambia. La riforma della docenza segna il passo, i concorsi sono inaffidabili, lo scandalo dei test d'ingresso è esploso in tutto il Paese. L'Ocse non ne parla (come potrebbe?), ma in compenso rileva che l'Italia investe nell'istruzione superiore solo lo 0,9% del Pil: meno di tutti gli altri Stati. La spesa media per studente è 5.572 euro l'anno: il 30% in meno della media Ocse. E i risultati si vedono: l'Italia attira solo il 2% dei ragazzi che studiano all'estero,contro il 9%delle università e degli istituti di ricerca francesi.
La scuola primaria rimane il nostro fiore all'occhiello: è costosa ma buona. L'insegnamento secondario invece costa un occhio, a causa dell'alto numero di docenti (che hanno in media 10,6 allievi a testa) e rende poco. Spendiamo, per allievo, più di tutti gli altri Paesi Ocse, ma siamo al 24° posto per numero di diplomati, a causa di un livello abnorme della dispersione e degli abbandoni, e tra il 23° il 26° posto nelle prove internazionali di apprendimento in lingua, matematica e scienze.
Nulla di nuovo, si dirà. Ma il grave è proprio questo: invece di utilizzare i dati messi periodicamente a disposizione dagli uffici Ocse per correggere gli sprechi, le inefficienze, le ingiustizie, continuiamo ad accoglierli con suprema indifferenza: si vede la pagliuzza (i piccoli passi avanti) ma si continua a far finta di non vedere la trave.
L'Italia, a differenza di tutti gli altri Paesi sviluppati,continua ostinatamente a concepire l'insegnamento come un fatto quantitativo e non qualitativo,e la scuola come un'organizzazione al servizio dei docenti, non degli allievi. Gli insegnanti sono liberi di scegliere l'istituto che preferiscono (il più vicino a casa), di chiedere (e ottenere) il trasferimento anche a metà dell'anno, nel più completo spregio del fondamentale principio della «continuità didattica», e soprattutto di rifiutare qualsiasi controllo di merito sul proprio operato.
Sarebbe impossibile, altrimenti, spiegare il paradosso delle ore di lezione. Per numero di ore l'Italia, come si vede dal grafico che pubblichiamo, dovrebbe esser detta «la Dotta», come Bologna: in nessun altro Paese si passa tanto tempo sui banchi. Eppure la Finlandia – il Paese con meno ore di lezione –si è aggiudicata per due anni consecutivi il miglior risultato nelle prove internazionali di apprendimento. Come mai? Evidentemente i docenti finlandesi sono più motivati, se non più preparati, sanno stimolare l'interesse degli allievi e promuovere un atteggiamento attivo nei confronti del sapere: in altre parole, lavorano non di più ma meglio dei nostri.
La ragione è semplice: hanno un mandato ben definito (concentrarsi sui saperi essenziali) e rispondono di quel che fanno. In Italia invece i risultati sembrano non interessare nessuno. Non esistono incentivi di stipendio e di carriera per premiare i migliori: lo stipendio progredisce automaticamente con l'anzianità. E sia i politici sia i sindacati di categoria si sono sempre opposti alla valutazione, per non perdere consensi.
In Italia le molte ore passate a scuola non giovano al sapere ma solo ai posti di lavoro. Complice il Governo. Da anni si denuncia l'urgenza di accrescere il livello delle conoscenze tecnico-scientifico. «Il Sole-24 Ore» e gli imprenditori italiani ne hanno fatto una bandiera. È una riforma che costa poco: basta ritoccare l'orario delle lezioni. Ma se, nel rapporto Ocse, osserviamo la distribuzione tra lingua e matematica nella fascia 12-14 anni, decisiva per il futuro, ecco il risultato: nei Paesi Ocse si dedica in media il 15% del tempo alla lingua e il 13% alla matematica, che sale al 15% in Austria, Francia e Lussemburgo, in Italia il 22% alla lingua e solo il 10% alla matematica. La qualità dell'istruzione si giudica anche così.

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