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Casini: «Nucleare, il dialogo va aperto»di Federico Rendina |
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11 ottobre 2007
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Subito un segnale di buona volontà bipartisan. Con una cabina di regia politica «composta di pochissime persone, della maggioranza e dell'opposizione». Per insediare poi una commissione tecnica che verifichi tempi, opportunità e strumenti per tracciare il ritorno dell'Italia al nucleare. Il criterio guida? Un serio impegno nei programmi internazionali di ricerca e di collaborazione non solo sul nucleare del domani, quello di quarta generazione, «ma anche sulle tecnologie disponibili oggi». Sgombrando però il campo dal principale ostacolo ideologico «che impedisce al nostro Paese una qualsiasi azione per adeguare le infrastrutture»: la presenza nel Governo del ministro Alfonso Pecoraro Scanio, titolare dell'Ambiente. Pecoraro, un bersaglio politico. Un nemico dello sviluppo, l'emblema dell'ostruzionismo ideologico, il primo rappresentante di quell'effetto nimby (not in my backyard, non nel mio cortile, ndr) che incita e legittima le popolazioni ad opporsi a qualunque infrastruttura, quale che essa sia. Il Governo, se vuole avere un minimo di credibilità, deve liberarsene. Rischierebbe di chiudere i battenti per esaurita maggioranza. Ma ammettiamo, solo per ipotesi, che Pecoraro se ne vada. È sicuro che la gente sia disposta anche solo a parlare di ritorno del nucleare? A certe condizioni, con una vera presa di coscienza della situazione energetica da parte della classe politica, ritengo di sì. Guai, naturalmente, a non inserire l'opzione nucleare in un serio piano energetico che sappia promuovere davvero il risparmio e le energie rinnovabili. Ben sapendo che l'apporto delle rinnovabili sarà in ogni caso marginale. Tutti o quasi d'accordo su un impegno per il nucleare di domani, quello a fusione. Ma per il nucleare di oggi siamo sicuri che la partita non sia definitivamente persa? Si è voluta perdere con la scelta sciagurata compiuta con referendum di vent'anni fa. Che ha prodotto un'Italia succube di una crescente dipendenza energetica, immobile nelle sue capacità decisionali, circondata da centrali nucleari piazzate a pochi chilometri oltreconfine, di cui condividiamo ogni eventuale ipotetico rischio senza avere alcun vantaggio. Partita persa o no? Possiamo e dobbiamo ancora giocarla. Sapendo che un Governo che ha il 51%, di destra o di sinistra che sia, non può confrontarsi seriamente con queste questioni. Ecco perché solo un accordo condiviso, che superi le ideologie, può aprire la strada ad una nuova politica energetica. Guai, in tutto ciò, a non ammettere gli errori del passato e del presente, anche da parte del centrodestra. Mirabile ammissione. In concreto? Quando vedo che c'è un disegno di legge presentato dai miei amici di Alleanza nazionale sul nucleare, e una settimana prima la mozione sul nucleare è stata bocciata per metà con i voti di alleanza nazionale, un chiarimento diventa evidente. Parliamoci chiaro: una vera svolta di politica energetica non c'è stata né con il governo di centrodestra, né con questo governo. Anche la semplice installazione dei rigassificatori rimane bloccata. Con qualche importante differenza. Nel Governo precedente non si è andati avanti perché si sono sottovalutati gli ostacoli e perché c'è stato un certo pressappochismo. Qui non si va avanti perché c'è una scelta ideologica che blocca tutto. Guardi quello che ha combinato Pecoraro sulla normativa ambientale. Il ministro si è trastullato un anno per sospendere l'intero codice ambientale senza valutare le conseguenze, senza proporre soluzioni praticabili, malgrado la pletora di costosi consulenti di cui si è scandalosamente dotato. Guardi cosa succede in Campania con gli impianti di smaltimento dei rifiuti, fermi non solo per le opposizioni delle amministrazioni ma anche perché il ministro blocca tutto. Consentendo così alla criminalità organizzata di prosperare con le discariche abusive. In Francia lo scenario è completamente diverso. Le infrastrutture, e le centrali nucleari, se le litigano tra paesi. Sono sinonimo di sviluppo, sorretto da un robusto sistema di compensazioni locali. Potrebbe funzionare anche qui? Lo scenario francese dimostra che il problema è innanzitutto di cultura e pedagogia. I giovani ci sono in Italia come in Francia, contestano le istituzioni da noi a da loro. Solo che lì c'è una cultura industriale, c'è un paese che non ha paura di modernizzare. Qui le grandi infrastrutture rimangono bloccate per per decenni. E questa è anche la logica conseguenza di un malinteso senso della concertazione. Perché quando la concertazione porta solo alla paralisi e un piccolo comune blocca il raddoppio della Bologna-Firenze per 10 anni, questa non è più democrazia. È l'esproprio della democrazia. Condivide i richiami a centralizzare le decisioni nodali per il paese, a cominciare da quelle sulla politica energetica? Assolutamente sì. Dico di più: nella riforma costituzionale che centrodestra ha proposto senza successo nella scorsa legislatura la parte più chiara e convincente riguardava proprio la centralizzazione di alcune decisioni di interesse nazionale.
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