«Il vero precariato è il lavoro nero che in Italia non è ancora stato estirpato. In Puglia solo una donna su quattro risulta occupata. Un dato che si spiega con l'alta disoccupazione ma soprattutto con la forte incidenza del sommerso». Bisogna partire da questi numeri secondo Michele Tiraboschi, giuslavorista e direttore del Centro Studi Marco Biagi, per risolvere i problemi del mercato del lavoro nel nostro Paese.
La sinistra radicale vede come fumo negli occhi la legge 30, responsabile a loro parere di aver dato vita al precariato.
«Sbagliano bersaglio. Le nuove forme contrattuali introdotte dalla legge 30 sono uno dei fattori che hanno fatto aumentare l'occupazione in Italia dai 20 milioni del 2003 ai 23 milioni del 2006. Un risultato dovuto in parte alle regolarizzazioni di circa 600.000 immigrati, ma soprattutto grazie all'emersione dal sommerso di tanta gente impiegata nei settori del turismo, del commercio e dello spettacolo. Migliaia di persone che prima lavoravano in nero per il semplice fatto che non c'erano forme legali per regolarizzare la loro posizione. La Biagi ha colmato questo vuoto».
Molte aziende però hanno sfruttato i contratti previsti dalla legge 30 per avere mano d'opera a basso costo e facilmente licenziabile, si pensi al caso dei call center
«Le cose stanno cambiando. Una circolare del Ministro Damiano del 2006 ha vietato i cococo fittizi consentendo la stabilizzazione di circa 20 mila persone. Se si pensa che in questo settore sono impiegati circa 80 mila lavoratori, il risultato è notevole».
Chi sono allora i precari?
È una categoria che comprende tanti lavoratori. Anche chi ha un contratto a tempo indeterminato, come quei dipendenti che Vodafone ha recentemente deciso di «esternalizzare» alla Comdata. I lavoratori italiani si sentono insicuri soprattutto perché guadagnano meno dei loro colleghi nel resto d'Europa. La metà del loro stipendio finisce in tasse e contributi vari. Il taglio del cuneo fiscale stà tardando ad entrare a regime e i lavoratori non ne hanno sentito l'effetto, al contrario delle imposte, aumentate con la finanziaria 2007.
In che modo si potrebbe ridurre la tassazione sul lavoro?
C'è un dato che secondo me è fortemente penalizzante per l'Italia: il tasso di occupazione. Su una popolazione di circa 58 milioni, solo 23 milioni lavorano, circa il 57% della popolazione. Nei Paesi del Nord Europa questa percentuale è all'80%. L'obiettivo a mio parere è salire a 30 milioni di occupati. Se aumentassero i lavoratori contribuenti, crescerebbero anche le entrate fiscali e lo stato si potrebbe permettere di ridurre le imposte.
Cosa ne pensa del «contratto unico» proposto dall'economista Tito Boeri e dall'ex ministro del lavoro Tiziano Treu?
L'idea (che prevede un'assunzione tempo indeterminato con misure flessibili soloin entrata) è molto simile all'apprendistato (introdotto nel 2003), una soluzione a mio parere intelligente che non è mai decollata per colpa della politica e delle Regioni. Personalmente sono convinto che non ci sia bisogno di un contratto unico ma di più forme per potersi adattare alle varie esigenze del mercato. È indubbio però che si debba trovare una mediazione tra le forme contrattuali super tutelate e i contratti atipici senza reti e protezioni.
Come mai non ci sono ancora degli ammortizzatori sociali per i lavoratori atipici?
Perché finora non c'è stata la volontà politica di farlo. I sussidi aiutano il reinserimento dei disoccupati nel mercato del lavoro ma possono portare a uno spreco di risorse se non sono ben regolamentati. Per molti il sussidio di disoccupazione si trasforma in un'entrata extra da integrare con un lavoro in nero. Un'indicazione positiva contenuta nel Protocollo sul Welfare prevede che vengano concessi assegni ai disoccupati a patto che si impegnino a frequentare corsi di formazione. É un principio cardine per la riforma degli ammortizzatori sociali che la stessa Legge Biagi prevede ma che non ha mai trovato applicazione.