L'amministrazione degli Stati Uniti tiene sotto attenta osservazione l'andamento dei mercati energetici, come ha sottolineato il portavoce della Casa Bianca Tony Fratto, ribadendo che il presidente George W. Bush vorrebbe vedere i prezzi del petrolio abbassarsi rispetto ai valori record toccati di recente.
«Il presidente vorrebbe che i prezzi del greggio fossero più bassi e vorrebbe che gli Stati Uniti fossero meno dipendenti dal petrolio prodotto all'estero, motivo per cui sta mettendo in atto apposite strategie politiche», ha dichiarato Fratto. La corsa al rialzo del greggio, che ha superato la soglia dei 90 dollari al barile, arrivando fino al massimo di 90,07 dollari, è stato determinato negli ultimi giorni dal deprezzamento del dollaro, da forti speculazioni sul perdurare delle preoccupazioni destate dalla situazione tra la Turchia e i ribelli curdi nel nord dell'Iraq. Nel 2003 il petrolio valeva 30 dollari al barile, per raggiungere i 40 nel 2004, i 70 nel 2005, e gli 80 nel settembre 2007.
Non sono estranee allo scenario delle tensioni internazionali l'ipotesi di sanzioni all'Iran per il programma nucleare che secondo Teheran è destinato a scopi civili mentre secondo gli Usa potrebbe nascondere una corsa al riarmo. A rendere il clima ancora più gelido i venti di guerra fredda tra Stati Uniti e Russia originati dal braccio di ferro sullo scudo stellare e dal rafforzamento dell'arsenale atomico annunciato dal Cremlino.
In serata (ore 20,15 italiane) i futures per consegna a novembre del crude Wti (West Texas Intermediate), qualità benchmark per il prezzo al mercato newyorkese Nymex, avevano ritracciato a 88,5 dollari (-0,98 centesimi), mentre il Brent, la qualità del Mare del Nord, quotava 83,72 dollari (-0,88 centesimi).
Secondo un panel di analisti interpellato dall'agenzia Radiocor il tetto dei 100 dollari è ormai a portata di mano, nonostante la Casa Bianca abbia fatto sapere che gradirebbe un calo del prezzo. Il quadro dei fondamentali spinge verso questa direzione e, comunque, si tratta davvero di un impegno di poco conto (meno del 15%) per un mercato che dai minimi dell'anno segnati il 17 gennaio scorso ha consolidato un rialzo di quasi il 65 per cento.
Per gli esperti di Barclays Capital infatti «la domanda non è più se i prezzi raggiungeranno i 100 dollari, ma quando». Sicuramente, concorda Janwillem Acket, capo-economista di Julius Baer «il petrolio potrebbe portarsi a 100-110 dollari, ma poi andremo verso una normalizzazione». In UniCredit, dice Giuseppe Maraffino, «prevediamo picchi verso l'area 90-100 dollari nei prossimi mesi, poiché la domanda continua a crescere in maniera molto sostenuta grazie ai consumi cinesi mentre l'offerta, per quanto possa essere aumentata, non sarà mai in grado di reggere lo stesso ritmo».
I 100 dollari sono un facile obiettivo anche per Alessandro Fugnoli di Abaxbank, secondo cui «è sufficiente che nei prossimi mesi il dollaro si svaluti di un altro 5%, e quindi andiamo a 93 dollari» e poi non ci vorrà veramente nulla, «viste le tensioni geopolitiche e la carenza dell'offerta». L'orizzonte oltre i 110 dollari risulta però piuttosto incerto poiché, spiega Luca Mezzomo di Intesa Sanpaolo, «la dinamica che ha preso il petrolio nelle ultime sedute è gonfiata da fattori speculativi transitori» la cui durata è difficile da prevedere. L'analista, secondo cui il mercato manterrà un'intonazione rialzista nel breve termine, prevede «un'inversione di tendenza solo tra la fine di quest'anno e l'inizio del 2008».