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Confindustria e sindacati, il vertice sui contratti

di Cristina Casadei

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27 novembre 2007

«Il problema dei contratti e dei salari? L'imprenditore e l'impresa ai dipendenti hanno sempre dato 100, ma in busta paga arriva 50». Alla vigilia del primo appuntamento tra le parti sociali che si incontreranno oggi per discutere la riforma dei contratti, Giuseppe Morandini, vicepresidente di Confindustria e presidente della piccola industria ribadisce così il punto di partenza imprescindibile «per dare una sterzata al paese in termini di capacità di tenere le posizioni che le imprese hanno acquisito sui mercati internazionali».
Il primo segnale forte di questo incontro arriva dalla decisione di svolgerlo nella foresteria di Confindustria in via Veneto a Roma: la materia contrattuale deve essere disciplinata dalle parti sociali per cui, almeno nella prima fase, la politica deve fare un passo indietro. Così il coinvolgimento del Governo che è sia datore di lavoro che "notaio" dell'accordo di riforma avverrà in un secondo momento, quando verranno coinvolte anche le altre organizzazioni. Una decisione rispettata dal ministro del Lavoro Cesare Damiano che però «non deve significare che il Governo venga coinvolto soltanto alla fine».
Al tavolo ci saranno da un lato il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, il direttore generale Maurizio Beretta e il vicepresidente per le relazioni industriali e gli affari sociali Alberto Bombassei e dall'altro i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Siamo lontani, per ora, dalle frizioni del 2004 quando Guglielmo Epifani si alzò dal tavolo e disse no. Mentre sul fronte sindacale questa volta sembra esserci maggiore unità d'intenti, il clima generale è favorevole all'individuazione di un terreno comune.
Gli industriali ribadiranno la loro posizione già espressa dal presidente durante l'ultimo direttivo straordinario di Federmeccanica. L'urgenza della riforma del modello contrattuale è fuori discussione e se il ruolo del contratto nazionale continua ad essere centrale, è sempre più in sede aziendale che si può tenere conto dei risultati e delle specificità del mercato. I sindacati appaiono uniti nel sostenere la necessità di una semplificazione del sistema contrattuale al fine di renderlo più efficiente, di una riduzione delle tasse per garantire il potere d'acquisto dei salari e di stabilire la durata triennale dei contratti. Sui livelli di contrattazione sostengono che vada disciplinata la diversa funzione dei due livelli di contrattazione, quello nazionale e quello aziendale. Già l'accordo del 1993 stabiliva che, in futuro, si sarebbe dovuti andare verso una maggiore presenza della contrattazione aziendale e di secondo livello. Per incentivarla, però, servirà la mano del Governo che potrebbe renderla più appetibile attraverso una serie di incentivi fiscali. Sui rinnovi, invece, emerge l'esigenza di chiudere entro l'anno i contratti scaduti e da rinnovare (bancari, sanità, enti locali, commercio, metalmeccanici, imprese di pulizia). Del resto come ha detto Luigi Angeletti nei giorni scorsi «bisogna rinnovare i contratti aperti, altrimenti è illusorio pensare di rinnovare il sistema contrattuale».

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