Caro direttore,
sulle modifiche dello scalone, così come sul tema della lotta alla precarietà, Rifondazione comunista ha espresso immediatamente un giudizio critico. Non abbiamo cambiato idea. Riteniamo contraddetti spirito e lettera del programma dell'Unione, che prevedeva il "superamento" dello scalone e della legge 30.
«L'estremismo» a cui fa riferimento il presidente Dini sul Sole-24 Ore di domenica, dunque, altro non sarebbe che il rispetto del mandato elettorale con cui anche lui è stato eletto. Mi pare, la sua, una logica della mani libere ante litteram.
La proposta del Governo ai sindacati è stata avanzata senza tenere in considerazione il parere del Prc. Mi pare un fatto in sé grave, lesivo del principio del consenso di tutta la coalizione, spesso evocato ma meno spesso praticato dagli alleati dell'Unione. Nonostante queste premesse, da quando il protocollo è all'esame del parlamento, pur non condividendone l'impianto, il Prc e le altre forze della sinistra hanno provato unitariamente a lavorare d'intesa col resto della maggioranza per apportare miglioramenti interni alla sua logica. Come sempre, insomma, abbiamo dato prova di responsabilità e siamo stati al merito. Non ci interessavano ieri e non ci interessano oggi giochi e giochini di palazzo.
Le modifiche apportate non fanno mutare il nostro giudizio. Ma non si può che partire da quelle. Anche perché si tratta di modifiche votate da tutta la coalizione, compresi coloro che oggi - con dubbia coerenza - invocano il ritorno al testo originario. Se in discussione nell'aula di Montecitorio non andasse il testo modificato dalla commissione, ci troveremmo insomma di fronte a una grave anomalia e ad un vero e proprio vulnus democratico. Come dovremmo infatti intendere il lavoro fatto unitariamente dai parlamentari? Come un vaniloquio? E quale sarebbe il ruolo del parlamento? Quello della ratifica e del passacarte? Quale cultura democratica è questa? Mi pare piuttosto una logica autoritaria e necorporativa.
Nessuno chiede modifiche strutturali al protocollo. Ma all'idea secondo cui il Parlamento debba solo tradurlo in legge non era arrivato neanche il vituperato governo Berlusconi. Il protocollo – ahimé, vorrei dire – viene in sostanza rispettato. Come rispettato è il responso del referendum. Chi non ha adeguato ascolto è quel milione di giovani e lavoratori che hanno manifestato il 20 ottobre.
Noi volevamo un intervento più serio per il superamento dello scalone. Alla fine è stata invece introiettata la filosofia di Maroni e si è solo lenito il brusco squilibrio. Di rilevante è stata definita la platea degli usuranti, provando per la prima volta a intervenire sulla divaricazione tra lavoro manuale e intellettuale. Si scopre tuttavia che sul tema fatidico dei tre turni, se rinviati al precedente decreto legge, nessuno potrà usufruirne, perché persino chi fa i lavori più duri non riesce a fare 80 turni di notte. Alla Camera si è quindi deciso unitariamente di provare a specificare meglio la materia con una delega che dia possibilità concreta di utilizzare questa parte del protocollo.
Quando chiediamo interventi più radicali sullo scalone, tutti ci si scagliano contro lamentando il dispendio di risorse. Ci considerano il partito della spesa. La cosa francamente non ci turba. Benché non possano certo essere annoverate a noi inefficienze e clientele; né si rifletta sul fatto che si parla di un meccanismo interno al sistema e pagato da chi lavora. Al contrario, vengono puntualmente contrapposti gli interessi dei giovani. Oggi però che il tema è proprio il superamento della precarietà a favore dei giovani, ecco che paradossalmente la questione sparisce, a dimostrazione della sua strumentalità.
Ho già avuto modo di dire, e credo sia evidente, che la malattia di questo governo non sta solo nei numeri risicati ma nella sua perdita di autonomia, in particolar modo rispetto a Confindustria. Lo si è visto sul cuneo fiscale, lo si è visto sull'Irap e l'Ires, lo si vede oggi sulla precarietà. Il lavoro della commissione ha cancellato lo staff leasing previsto dalla legge 30: è questa la novità rispetto al protocollo. Vorrei altresì ricordare che si tratta di una tipologia scarsamente utilizzata. È dunque questa abrogazione la pietra dello scandalo? Suvvia...
Per quel che riguarda i contratti a termine, nel calcolo dei 36 mesi successivi vengono comprese anche le interruzioni e viene introdotta una proroga di 8 mesi; nel caso di nuove assunzioni la precedenza va ai contratti a termine oltre i 6 mesi. Mi pare una banale forma di civiltà. Sarebbe stata più forte se la prelazione non fosse stata solo per le assunzioni a tempo indeterminato ma anche per quelle a termine. Su proposta della Casa delle libertà, fatta propria dal partito democratico, si concedono anche vantaggi fiscali alle imprese artigiane che trasformano prima del previsto quel contratto a tempo indeterminato. Sono loro gli estremisti?
Ben altri interventi occorrerebbe fare sul tema cruciale della precarietà. Noi intendiamo riproporlo, ed è decisivo che lo facciamo unitariamente a tutta la sinistra. Ma va riaperto un confronto che non riguardi solo la condizione materiale del lavoro, bensì il modello economico; una sfida che non riguardi solo la competitività di prezzo, ma il cambiamento del paradigma produttivo. Bisogna infatti investire su innovazione, ricerca, formazione e su alternative al modello sociale precario. Bisogna investire su adeguati livelli retributivi, oggi ai gradini più bassi in Europa; e sarebbe giusto, nonché utile ai rinnovi contrattuali, che si detassassero gli aumenti e si recuperasse il fiscal drag. Insistendo sulla contrazione del costo del lavoro si entra invece in un vicolo cieco, in cui diventa in realtà impossibile anche la tanto osannata competizione, in quanto a quel punto si giocherebbe una partita su fasce marginali e non qualitative nello scenario globale.
Mai come oggi, quindi, gli interessi del lavoro corrispondono con gli interessi del Paese.
*Segretario del Prc