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Contratti: una vera e propria giungla

di Giorgio Pogliotti

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Un contratto nazionale in media per ogni 15mila dipendenti. Il Cnel ne ha censiti 378, 65 nei soli trasporti anche per effetto della frammentazione della rappresentanza di aziende e sindacati, con il primato dell'Enav (assistenza al volo) che ha 3.400 dipendenti e 13 sigle. Con inevitabili ricadute sulla conflittualità, perché per l'elevato numero di contratti, si susseguono a ripetizione le vertenze per i rinnovi, così come gli scioperi.
Archiviato il Protocollo sul Welfare, la nuova sfida per le parti sociali è rappresentata dalla riforma contrattuale, con la revisione del modello definito nel '93 e la razionalizzazione numerica. Il tema è stato rilanciato recentemente dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo: «Solo nel nostro sistema vengono stipulati 67 contratti per 4 milioni e 300mila lavoratori. Cinque, da soli - quelli per i settori metalmeccanico, edile, chimico, tessile e alimentare - coprono tre milioni di dipendenti». Gli altri 62 riguardano un milione di dipendenti: in media 15-16mila lavoratori ciascuno. «Per ogni rinnovo - ha aggiunto Montezemolo - si registrano le stesse lungaggini, gli stessi costi, le medesime tensioni, ed è sempre più difficile cogliere le discipline che li possono differenziare l'uno dall'altro». Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, è d'accordo: «Ne parlammo già 15 anni fa e ci accordammo per ridurli. Avere 800 contratti è assurdo. Finiscono per creare burocrazie ridondanti, rallentamenti, esborsi inutili; dovremmo accorparne alcuni. Sarebbe un segnale importante di abbattimento dei nostri "costi" della politica».
Una novità arriva dal Protocollo sul Welfare che prevede incentivi alla contrattazione di secondo livello, per spingere salari e produttività: «Intendiamo avviare a breve il confronto sulla definizione di un nuovo modello contrattuale - spiega il direttore generale di Confindustria, Maurizio Beretta - che, confermando l'importanza del contratto nazionale, rafforzi la contrattazione aziendale per dare una risposta alla questione della produttività». Un capitolo del confronto riguarda proprio la semplificazione: «I contratti nazionali devono essere accorpati per macrosettori - continua Beretta - regolando le specificità nella contrattazione di secondo livello». Giorgio Santini (Cisl) è convinto che «dal riequilibrio tra i due livelli, possa giungere una spinta alla riduzione numerica» dei contratti. «Delimitando il campo d'azione del contratto nazionale - aggiunge Santini - l'accorpamento sarà più facile, lasciando le specificità alla contrattazione di secondo livello. Nei trasporti si potrebbero definire 4 macroaree: cielo, mare, ferrovia e viabilità».
Potrebbero così essere superate quelle resistenze che finora hanno ostacolato il processo di razionalizzazione dei contratti. Basti pensare al trasporto aereo, con contratti nazionali divisi oltre che per tipologia professionale, anche per compagnia aerea (o società). Con il risultato che ogni aeroporto ospita piloti, assistenti di volo, personale di terra, di handling, catering, controllori di volo e dipendenti dell'aviazione civile, che fanno riferimento ciascuno a un contratto nazionale diverso.
Ma anche laddove è stato definito, il contratto di settore non è utilizzato da tutti. Il contratto delle attività ferroviarie, definito nel 2003, è applicato dalle Fs e - attraverso contratti di confluenza - dalle imprese che lavorano sui treni. I concorrenti privati applicano contratti meno onerosi (autoferrotranvieri, contratti ad personam). Un emendamento al disegno di legge sulle liberalizzazioni, tuttavia, vincola l'accesso alla rete ferroviaria all'applicazione del contratto di settore. «Bisognerà definire uno strumento contrattuale nuovo che sia il frutto dell'integrazione tra i contratti delle attività ferroviarie e degli autoferrotranvieri - sostiene Fabrizio Solari (Filt-Cgil) -, così come nel trasporto aereo c'è bisogno di un contratto nazionale che sia contenitore unico per le varie categorie, affiancato dai singoli contratti aziendali». Analogamente, nelle Tlc esiste un contratto di settore, ma molte aziende non vi si riconoscono e preferiscono il contratto del commercio, o quello dei metalmeccanici.
In controtendenza c'è il contratto degli studi professionali, nato dalla confluenza di tre precedenti contratti, che interessa un milione di dipendenti. Con questa esperienza è ripreso quel percorso di accorpamento che portò nei decenni passati alla stipula dei contratti dei tessili e degli almentaristi, frutto della fusione di diversi contratti. «Per l'applicazione dei contratti di settore servirebbe un accordo politico forte tra le associazioni datoriali e i sindacati che è ostacolato dalla polverizzazione delle rappresentanze - sostiene Aldo Amoretti, consigliere Cgil al Cnel -. Ritengo più praticabile un accordo interconfederale che su questioni generali stabilisca regole comuni per tutti, lasciando alle singole categorie gli aggiustamenti specifici».

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