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Contratti, sì delle imprese ad accordi triennali

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11 DICEMBRE 2007

Triennale è diventato l'aggettivo della concordia tra imprese e sindacati in materia di rinnovi contrattuali. Per entrambi è sinonimo di stabilità, ma anche di maggiore spazio alla contrattazione di secondo livello. Gli ultimi a firmare un rinnovo di tre anni per la parte economica, sabato, sono stati i bancari, ma il ruolo di apripista va riconosciuto alle Poste che hanno raggiunto l'accordo in luglio.L'auspicio delle parti che si torni a modulare i contratti su una durata più lunga è molto forte, al punto che la triennalizzazione è stato uno dei capitoli affrontati già nel primo incontro per la riforma del protocollo del '93.

La riflessione di Confindustria parte da una premessa che contestualizza una modifica che più che una novità è un ritorno al passato. Dal dopoguerra in poi c'è sempre stato un solo rinnovo triennale. Nel 1993 è stato concordato un ravvicinamento dei tempi dei rinnovi dovuto all'inflazione. «Allora rasentava il tetto delle due cifre e per questo era stato individuato un meccanismo che consentisse di evitare sbalzi eccessivi nel potere d'acquisto dei salari – spiegano da Confindustria –. Il meccanismo dell'inflazione programmata consentiva infatti di salvaguardarlo ma in un lasso di tempo breve. Più si allunga il periodo e più aumenta la scommessa. Nella situazione attuale in cui ragioniamo in termini di differenze di 0,2 o 0,5%, al di sopra o al di sotto di un'inflazione del 2%, il problema non si pone più e quindi la durata triennale della parte economica dei contratti è tornata compatibile con il mantenimento del potere d'acquisto dei salari ». Concordi nella premessa, sono gli stessi sindacati a individuare i vantaggi del superamento del protocollo del 1993. Il più evidente riguarda proprio la contrattazione aziendale. «Un modello che stressa i tempi delle trattative del contratto nazionale di fatto sacrifica quello aziendale –spiega Paolo Pirani, segretario confederale della Uil –. Un recente studio del Cnel ha messo in luce che negli ultimi anni c'è stato un forte calo delle aziende che fanno contrattazione integrativa». Del resto «l'allungamento a tre anni darebbe quel respiro che i rinnovi biennali non consentono – dice Gianni Baratta, segretario confederale della Cisl –. Questo consentirebbe il rispetto dei tempi dei rinnovi e l'acquisizione da parte delle imprese di maggiori risorse a vantaggio dei lavoratori ».C'è ancora una certa perplessità nella Cgil perché «deve essere chiaro che il cambiamento della durata dei contratti non può essere sganciato dagli altri temi del confronto che porterà alla riforma del protocollo del 1993 –spiega Mauro Guzzonato, segretario confederale della Cgil –. La triennalizzazione innanzitutto deve legarsi al rispetto dei tempi dei rinnovi. Oggi la decorrenza è due anni sulla carta e tre nella pratica. Se domani diventasse tre sulla carta e quattro nella pratica creerebbe problemi. Inoltre andrebbe legata anche a strumenti non automatici che consentano di proteggere i salari da eventuali impennate dell'inflazione non prevedibili».

All'accordo dei sindacati corrisponde l'omogeneità dell'orientamento delle imprese di Confindustria.

L'attuale sistema ha portato a un situazione di rinnovo perenne per cui «ogni anno vengono rinnovati una ventina di contratti che coinvolgono tra due milionie due milioni e mezzo di lavoratori –dicono gli industriali –.In una logica di inflazione contenuta e stabile, sarebbe normale riportare a tre anni la durata dei contratti. L'alleggerimento della pressione sui contratti nazionali favorirebbe la contrattazione aziendale perché tempi più lunghi impediscono la sovrapposizione tra i due livelli». Anche il ministero del Lavoro punta a contratti triennali, «con una moratoria di sei mesi, perché con tre mesi di tempo per il rinnovo ci si riscalda solo i muscoli, ma con sei magari si arriva a una conclusione senza scioperi», ha spiegato il ministro Cesare Damiano.

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