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Un Paese troppo diseguale

di Massimo Baldini

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18 gennaio 2008

Il rapporto dell'Istat contiene significative conferme e smentisce alcuni luoghi comuni. I dati più recenti (2004 e 2005) ci dicono che la diseguaglianza nei redditi delle famiglie non è cambiata. L'indice di Gini, che misura la diseguaglianza, è rimasto costante attorno a 0,32, un livello che ci pone tra i Paesi più diseguali d'Europa.
Quelli dell'Europa settentrionale presentano infatti valori dell'indice di Gini attorno a 0,25, cifra che sale a circa 0,35 nell'Europa meridionale. La diseguaglianza è da noi molto elevata anche per la forte distanza che separa il Centro-Nord dal Sud: disaggregando l'analisi per aree, si scopre che nell'Italia del Nord la diseguaglianza è solo di poco superiore a quella di Francia e Germania. Nelle regioni meridionali il reddito non è solo mediamente molto inferiore a quello delle regioni del Nord, ma è anche distribuito peggio. Il livello di diseguaglianza è in parte sovrastimato anche dal più basso livello dei prezzi delle regioni meridionali: se considerassimo i redditi a parità di potere d'acquisto, la distanza nei valori medi tra Nord e Sud ne risulterebbe attenuata, anche se ovviamente non cancellata. La pubblicazione dell'Istat non effettua una analisi della povertà economica, il che è un peccato, perché i dati sono perfetti anche per questo scopo. Presenta invece indicatori di disagio, come la quota delle famiglie che arrivano a fine mese con difficoltà o di quelle che non riescono a sostenere spese impreviste. Ebbene, questi indicatori non sono peggiorati tra il 2005 e il 2006, anzi in alcuni casi sono migliorati, forse perché nel 2006 l'economia è tornata a crescere.
La conferma che per l'Italia gli indicatori di diseguaglianza e di disagio economico non sono significativamente peggiorati negli ultimi anni sembra scontrarsi con l'esperienza quotidiana. Ma il motivo principale del disagio diffuso, e della sensazione di impoverimento avvertita anche dalle classi medie, non sta in un peggioramento degli indici distributivi, bensì nella sostanziale stagnazione dei redditi: la stessa indagine Istat mostra che il reddito medio nominale delle famiglie è aumentato tra il 2004 e il 2005 di meno dell'1%. Questo significa che il reddito reale, corretto per l'inflazione, è diminuito. Le rilevazioni svolte dalla Banca d'Italia, inoltre, mostrano che dalla metà degli anni 90 si sta verificando una ricomposizione interna ai redditi delle classi medie: le cose sono andate piuttosto bene per gli indipendenti, soprattutto per chi non è esposto alla concorrenza estera, molto peggio per i dipendenti del settore privato.
Se per capire le cause del disagio diffuso non ci si può limitare ad osservare i mutamenti della distribuzione del reddito, non sarebbe neppure sufficiente analizzare i dati di contabilità nazionale sulla ripartizione del reddito. Questi mostrano, infatti, che la quota che va ai redditi da lavoro dipendente è addirittura in leggero aumento. La ragione sta nella forte crescita del numero degli occupati nel corso dell'ultimo decennio, che ha mantenuto elevata la loro quota del prodotto, malgrado una crescita modestissima dei redditi unitari.
Per migliorare le condizioni di vita delle classi medie sarebbe miope puntare solo su strumenti redistributivi di tipo fiscale o altro, proprio perché alla base del loro disagio non c'è una perdita di quote distributive aggregate, ma la crescita quasi zero dei redditi, a sua volta dovuta alla dinamica molto deludente della produttività.
Un discorso in parte diverso vale invece per i poveri: il fatto che la quota di famiglie in povertà sia praticamente costante da 15 anni dimostra che l'impegno delle politiche pubbliche a favore delle famiglie in vera difficoltà economica è sempre stato, per usare un eufemismo, molto tiepido. Nel futuro, il continuo afflusso di immigrati a basso reddito e l'invecchiamento della popolazione rischiano di aumentare decisamente la quota di persone in povertà. Per evitarlo, una riforma del nostro welfare state, che preveda strumenti quali il reddito minimo di inserimento e il sostegno ai non autosufficienti, è sempre più urgente.

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