Questa volta per l'economia italiana il fantasma della crescita zero potrebbe essere dietro l'angolo. Colpa di un mix di fattori negativi tra i quali spiccano inflazione, caro-petrolio, super euro e pressione fiscale. Lo sostiene il Centro studi di Confindustria (Csc) nel suo flash congiunturale di marzo, più pessimista del ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, che per l'anno in corso ha ufficializzato il taglio delle stime della crescita del Pil portandolo allo 0,6% dal precedente 1,5 per cento.
«Mi dispiace, purtroppo avevamo ragione – è stato il commento del presidente di viale dell'Astronomia, Luca Cordero di Montezemolo – ma le stime di crescita sono sempre più vicine allo zero che all'1%». Si può parlare quindi di recessione? «Penso e spero proprio di no», ha detto Montezemolo.
« Ai livelli attuali il caro-greggio sottrae 0,6 punti alla dinamica del Pil – scrive il Csc – mentre la rivalutazione del cambio ne toglie 0,2 e altri 0,4 nel 2009». Torna ad ampliarsi quindi il differenziale di crescita tra l'Italia e il resto del Vecchio Continente, un trend non nuovo visto che, sempre secondo il Csc, dal 2000 se il Paese avesse avuto uno sviluppo in linea con quello degli altri Stati il prodotto interno lordo 2008 sarebbe stato più elevato di 225 miliardi.
«Il rallentamento ha cause comuni – spiegano gli analisti –: perdita di potere d'acquisto per il rincaro delle materie prime, specie energetiche, perdita di competitività dovuta alla rivalutazione del cambio, debolezza dell'economia americana».
Per gli investimenti il saldo delle risposte della rilevazione Banca d'Italia-Il Sole 24 Ore è diminuito a dicembre 2007 a -31,3 dal –27,8 di settembre. E sono le medie imprese, prevalentemente del Nord-Ovest, a risentire di più dell'inversione di tendenza ciclica.
Le materie prime continuano la loro corsa: +2,1% i prezzi in euro nella prima settimana di marzo, con i combustibili a +2,8% e i non alimentari a +0,2%, mentre gli alimentari sono calati (-1,4%) dopo il balzo di febbraio (+8,5%). Prezzi record si sono avuti nell'ultimo mese per petrolio, riso, grano. Dietro agli aumenti c'è anche un legame con l'andamento del dollaro e dei listini: «Quando la divisa Usa si indebolisce – spiega il Csc – e le Borse perdono appeal come in questa fase turbolenta, molti investitori diversificano proprio sulle materie prime». Facendo impennare i corsi.
Negli ultimi due anni il calo della competitività italiana è stata maggiore di quella dei suoi partner monetari. Infatti il tasso di cambio effettivo reale è cresciuto dell'11% mentre quello tedesco è aumentato solo dell'1,2 per cento. Dati che hanno portato l'export nostrano a spingere di più sull'hi-tech. L'incremento delle quantità esportate nei paesi extra-Ue (+8% nei primi dieci mesi del 2007), nonostante la rivalutazione della moneta unica, «conferma che i nostri produttori hanno migliorato i fattori di competitività diversi dai costi», spiega il Centro studi di Viale dell'Astronomia.
E per mantenere e ampliare il potere di mercato, il made in Italy ha puntato soprattutto su un fattore: la qualità.