«Certo che il banco vince sempre! Il rischio è calcolato scientificamente». Ha il tono un po' scocciato l'ingegner Fabrizio D'Aloia, quando si mette in discussione la profittabilità del business delle scommesse online. «E certo... Il mio mestiere è quello di garantire un margine a chi raccoglie le scommesse, e per farlo – assicura il presidente di Microgame – utilizzo software di Business intelligence, database e principi della teoria del calcolo della probabilità».
Probabilmente è così, perché il mestiere di Microgame è delicatissimo: fissare le quote delle scommesse, calcolare le chance di successo di un evento sportivo, controllare come si aggregano le puntate e intervenire in tempo reale. «Il segreto – spiega – è anticipare il mercato, capire prima come decideranno di scommettere gli investitori, perché se si sbaglia a fissare le quote, recuperare in corsa, a scommesse aperte, diventa complicato e il rischio è altissimo». D'Aloia usa parole di ingegnere per spiegare quella che fa Microgame. «Siamo nati nel 1996 e siamo esperti di risk management. In pratica siamo un service Provider indipendente per i concessionari di scommesse sportive, gestiamo il 40% del mercato dei giochi a distanza, il che significa 47 concessionari per 650mila conti di gioco aperti». In termini tecnologici offrono piattaforma applicativa appositamente progettata per gestire le scommesse sportive attraverso le agenzie, il telefono e internet utilizzando sistemi hardware e software e di rete standard di mercato. In particolare, il software è proprietario ed è stato realizzato con l'Università di Sannio. E sarebbe lui, il software, il cervellone responsabile delle quote, quello che gli scommettitori provano a fregare per far saltare il banco.
Questo perché, come racconta l'ingegnere, tutti i giocatori più smaliziati vorrebbero trovare il modo di fare soldi facili sulla pelle del quotista. E ci possono anche riuscire anche perché non tutto può essere controllato dalla tecnologia. A maggior ragione se l'oggetto della scommessa è un evento sportivo.
«Da quando si aprono le scommesse fino alla chiusura può succedere di tutto. Nel caso del calcio, un giocatore di punta si può far male, salta un allenatore o i risultati di altri incontri cambiano le attese sul risultato. Tutti questi fattori naturalmente condizionano l'evento ma soprattutto cambiano la percezione dello scommettitore. E possono concentrare repentinamente le puntate su un risultato. Il che può rendere il guadagno del "banco" meno certo».
Un profitto al concessionario che tiene le scommesse deve essere garantito, indipendentemente dal risultato dell'evento. «In generale le quote devono contemplare un 10% di guadagno per il gestore. Ma il rischio sale in base al tipo di sport e al campionato. Nell'Europa dell'Est, per esempio, toto-nero e partite truccate fanno schizzare alle stelle la percentuale che viene riconosciuta al concessionario».
Ma, al netto di tutte le variabili che possono incidere sul risultato, il quotista deve arrivare a una sintesi. Non solo il più fedele possibile alle reali probabilità del risultato ma anche e soprattutto alle attese di chi scommette.
«Esattamente come avviene sul mercato finanziario, il quotista deve scontare il comportamento del mercato delle scommesse. In altre parole, deve anticipare le giocate, perché se il mercato impazzisce, il banco guadagna meno o addirittura perde. Insomma, non basta azzeccare le probabilità dell'evento sportivo, occorre – sottolinea il presidente di Microgame – prevedere le puntate».
Per fare questo conta l'elemento umano. Il software di business intelligence deve essere continuamente aggiornato da notizie, indicazioni e "soffiate". Le fonti arrivano da giornali sportivi, news group ed esperti che conoscono questo tipo di mercato. Senza di loro il software servirebbe a poco.
Accanto alle scommesse c'è un altro mercato che tra breve interesserà da vicino anche l'Italia. Parliamo degli skill game, istituiti nel 2006 dal decreto Bersani. Entro l'estate si potranno giocare soldi veri ai tavoli da poker, su scacchiere virtuali, o al sudoku.
«Nel caso del poker online il modello di business è semplice perché si paga una quota di partecipazione proporzionale al valore del torneo», spiega Marco Trucco di Everest Poker, una poker room online che in Italia sta attendendo la licenza per utilizzare soldi veri. In altre parole, si tratta di un chip di ingresso per giocare. Ma anche qui i rischi ci sono. Soprattutto per chi gioca. A un tavolo da poker, per esempio, tre giocatori possono essere d'accordo e parlarsi al cellulare per truffare il "pollo"». E in questo caso? «Ci sono server che tracciano gli indirizzi Ip, scansionano le giocate, verificano se le stesse persone giocano più volte tra loro. È una tecnologia che ha setto-otto anni. Ma non è tutto lasciato al computer. Il sistema segnale le anomalie, per esempio una puntata illogica. Ma c'è sempre un uomo che controlla la partita e può bloccarla all'istante. Detto questo, c'è un sacco di gente che ci prova». Del resto, è vero che il banco vince sempre, ma è altrettanto certo che le possibilità offerte dalle tecnologie per anticipare e simulare le probabilità sono pressoché infinite. Molto costose ma infinite. Las Vegas insegna.