Un accordo molto elastico, che lascia ampie possibilità di deroghe agli Stati (volute in particolare dalla Gran Bretagna) e alla contrattazione collettiva sul limite standard di 48 ore per una settimana lavorativa. Ma pur sempre un'intesa su due proposte di legislazione che erano rimaste incagliate per anni sul tavolo del Consiglio dei ministri Ue: la revisione della direttiva sull'orario di lavoro e il trattamento dei lavoratori delle agenzie interinali. E che chiarisce il modo di trattare ai fini lavorativi il tempo di guardia e di reperibilità. Territorio dai confini piuttosto incerti dopo che due sentenze della Corte di Giustizia Ue del '98 e del 2002 (cause Simap C-303/98 e Jaeger C-151/02), avevano imposto di calcolare nell'orario di lavoro anche i periodi di reperibilità non attiva, andando in collisione con la legislazione di vari Paesi.
C'è voluta un'intera giornata di negoziati e poi, nel cuore della notte tra lunedì e martedì a Lussemburgo i ministri del Welfare Ue sono riusciti a varare il compromesso. Favorevoli tutti i grandi Paesi, Italia inclusa, mentre si sono astenuti cinque Stati, insoddisfatti dalle maglie troppo larghe lasciate dai due testi – Spagna, Belgio, Grecia, Ungheria, Grecia e Cipro – e hanno detto di confidare in modifiche da parte dell'Europarlamento, che dovrà ora discutere le proposte in seconda lettura, e dove la sinistra promette battaglia. Soddisfatta invece la Commissione Ue. «È un passo avanti per i lavoratori europei e per il dialogo sociale – ha commentato il commissario agli Affari sociali, Vladimir Spidla –. Abbiamo creato maggiore sicurezza e migliori condizioni per i lavoratori, anche impiegati dalle agenzie interinali, pur mantenendo la flessibilità di cui le aziende hanno bisogno».
I due testi di compromesso delimitano le deroghe che possono essere praticate sulla settimana standard di 48 ore, con possibilità di portarla a 60-65 ore, e le tutele per il lavoratore di un'agenzia interinale rispetto all'occupato permanente. Sull'orario di lavoro la nuova legislazione rivede la direttiva del '93 (N. 93/104) che già fissava un limite settimanale di 48 ore. Però alcuni Stati, e in particolare la Gran Bretagna, avevano ampie possibilità di deroghe (opt out), e varie aziende inglesi facevano firmare sistematicamente ai nuovi assunti una liberatora dagli obblighi della direttiva. Questa possibilità rimane, ma il lavoratore non potrà firmare più l'opt out nel primo mese di impiego, né potrà essere discriminato se si rifiuta di farlo. Un tetto di 60 ore settimanali di lavoro rimarrà comunque anche per chi si sottrae al tetto standard, a meno che accordi tra le parti sociali non prevedano altri limiti. Si potrà arrivare anche a 65 ore settimanali, quando si includa il tempo di reperibilità passivo nell'orario di lavoro. La nuova proposta di direttiva prevede che si distingua tra tempo di reperibilità attivo e inattivo e che solo il primo sia incluso nell'orario di lavoro (restringendo così il campo rispetto alle passate sentenze della Corte Ue).
L'altro testo prevede invece che gli 8 milioni di lavoratori impiegati da agenzie interinali in Europa abbiano gli stessi diritti degli occupati a tempo indeterminato dal primo giorno di lavoro in termini di stipendio, congedo di maternità e permessi. Saranno però ammesse deroghe attraverso accordi tra le parti sociali nazionali e settoriali. Positivo il commento sui testi del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, il quale ha ricordato «che l'Italia, insieme con il Lussemburgo, è il solo Paese dei 27 che ha sempre correttamente applicato la direttiva vigente sull'orario di lavoro, e che, dunque, si è sempre conformato alla giurisprudenza della Corte di Giustizia». Di tutt'altro tono i commenti dei sindacati: «L'accordo sull'orario di lavoro è molto insoddisfacente, inaccettabile – ha dichiarato John Monks, segretario generale del Ces, la confederazione sindacale europea – in particolare per quanto riguarda la definizione del tempo di guardia e la continuazione degli opt out lasciati alla Gran Bretagna». Infine, per Madrid l'intesa raggiunta è «Inaccettabile e da respingere». E l'Europa «sarà riportata indietro sul piano delle conquiste sociali».
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