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Non solo, ma l'indicazione governativa a costruire percorsi sempre più specialistici e professionalizzanti ha obbligato le strutture, e dunque i docenti che vi afferiscono, nonostante gli alti numeri degli studenti iscritti ai singoli corsi delle Università pubbliche, a cercare quanto più possibile di avviare una didattica che sia insieme frontale e individuale, tutoriale e di laboratorio, a fronte di un personale praticamente dimezzato rispetto a qualche anno fa a causa del prolungato blocco del turnover (pochissime nuove assunzioni e ondate sempre più grandi di pensionamento, che porteranno peraltro gli Atenei italiani ad un preoccupante svuotamento entro il 2012-2015), e a fronte degli adempimenti amministravi e burocratici sempre più pressanti e numerosi.
Cosa dire poi dell'impegno sul fronte dell'internazionalizzazione, voluta giustamente dai governi locali e nazionali, e che presso le Università italiane ha ottenuto risultati eccellenti (nel numero di scambi studenti nell'ambito dei programmi Socrates-Erasmus, di convezioni Overseas, di titoli congiunti, di Marie Curie, etc, e, di conseguenza, di fondi assegnati al sistema universitario dalle Commissioni Europee) e che ha permesso a migliaia di studenti italiani di fare utili esperienze di studio e di ricerca all'estero arricchendo la propria personalità e un necessario quanto spendibile curriculum professionale. Risultati che si devono anche all'impegno profuso e mal riconosciuto, dei docenti e ricercatori dei nostri Atenei, e che hanno fatto acquisire all'Italia diversi punti nella valutazione europea.
Una situazione incomprensibile e dannosa
Nonostante l'impegno nella ricerca e nella didattica di tutti i suoi componenti, l'Università italiana pubblica resta da tempo al centro di un tiro al bersaglio dal quale non esiste un organo accademico nazionale che sembri capace di difenderla. Siamo lasciati sempre più soli, quando non addirittura attaccati e umiliati dalle istituzioni e dai media, e così lo sono i nostri studenti: isolati da e in una società che ha dimenticato che il valore fondamentale del mondo civile è quello dell'istruzione. Mentre in altri paesi europei, come la Francia, la Gran Bretagna e la Spagna, l'investimento nella ricerca e nella formazione universitaria è una priorità di governo, in Italia la parola d'ordine sembra quella di svilire ricerca, cultura e formazione.
Anche se i fondi per la ricerca e per la didattica sono sempre meno e le richieste di impegno orario, di pre-pensionamento, di imparare a fare a meno di contratti, di lettori, di tecnici capaci, di nuovi posti di ricercatori, sono sempre maggiori, i docenti non vogliono essere una corporazione e non vanno trattati come lobbisti.
Infine, se l' articolo di legge che riguarda l'impegno orario dei docenti è contenuto nel d.p.r. 382/1980, art. 10, i dati sono estratti dalla Ragioneria dello Stato che quantifica il nostro lavoro partendo da minimi ministeriali, ed introducendo poi un correttivo per ulteriori attività istituzionali, incrementando tali minimi di un fattore arbitrario (per un professore a tempo pieno da 350 a 950). Ma dal rapporto non si evince in alcun modo se la ricerca debba essere inglobata in questo monte ore o se non sia tenuta in conto del tutto, e proprio la ricerca che resta dovere fondamentale dell'Università.
Così come abbiamo visto nel caso della didattica e delle attività ad essa connesse, ci si chiede ancor di più per la ricerca come possano essere calcolabili tutte le attività che essa implica e che sono ormai ritenute indispensabili: i progetti di ricerca, strategici, nazionali e internazionali, la sperimentazione di laboratorio, la consultazione di archivi e biblioteche, il tempo di osservazione, di riflessione e di scrittura, i contatti, le collaborazioni, la disseminazione dei risultati, e, non ultimo, le pubblicazioni di volumi, articoli in riviste o l'organizzazione di e la partecipazione a convegni nazionali e internazionali? Tutte attività che richiedono un lungo e continuativo lavoro, non misurabile in modo convenzionale con un orario, ma certo non compreso nel monte ore indicato.
Chiediamo che la attività della Università e degli operatori della ricerca sia valutata e considerata in modo realistico, e non in base a parametri di minimo ministeriali, Chiediamo che finalmente si sostenga il comparto ricerca e istruzione, chiediamo di non parlarne più in modo approssimativo o, peggio, dispregiativo, ma che si avvii una seria politica di rilancio dell'Università pubblica italiana.
I docenti universitari italiani sono fieri di essere educatori e ricercatori, una fonte di progresso intellettuale, morale e sociale, e chiedono di non essere sottoposti a continui processi. La ricerca scientifica italiana, e forse la nostra coscienza sociale e comunitaria, oggi e ancor più domani, dipendono anche dalla conservazione e dal miglioramento della qualità del nostro lavoro. E se ovunque, specie all'Università, la qualità dovrebbe prevalere sulla quantità, in realtà non basterebbero neppure le 24 ore giornaliere per tener testa a quello che la coscienza del docente e l'immaginazione e curiosità del ricercatore che è in ognuno di noi ci spingono a fare, per l'evoluzione scientifica dei nostri studenti e l'aggiornamento e approfondimento delle conoscenze nei nostri settori disciplinari.
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