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Bufera sulla norma anti-precari: Brunetta,
«il Governo non c'entra»

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28 luglio 2008
Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi con il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta (Ansa)

Sulla norma che blocca il reintegro dei precari il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ne sottolinea l'origine parlamentare e la "non responsabilità" del Governo, condividendo così la stessa presa di posizione del responsabile del Welfare, Maurizio Sacconi. «L'emendamento sul lavoro atipico (contenuto nel dl sulla manovra economica, ndr) - spiega il ministro - è di origine parlamentare, quindi il Governo non c'entra. Sulla questione si è espresso il ministro competente Sacconi, che ha spiegato la genesi dell'emendamento e la sua dimensione: vale solo per il passato e per il contenzioso in essere, non vale per il futuro. Io - conclude Brunetta - ho la stessa posizione di Sacconi».

Intanto le opposizioni e i sindacati stigmatizzano la posizione ambigua dell'Esecutivo e chiedono che la norma sia cambiata al Senato. E le organizzazioni del lavoratori lanciano anche un allarme: la norma farebbe saltare l'accordo sui precari siglato con le Poste, l'azienda per la quale nasce la norma stessa. Ma il percorso più probabile, e condiviso tra i ministri, è quello che la manovra non venga modificata al Senato, ma intervenga un successivo decreto di correzione.Il presidente della commissione Bilancio del Senato, Antonio Azzollini, ha ironizzato sul fatto che sia esplosa una polemica solo oggi: «È curioso - ha detto - la norma è stata presentata e votata 20 giorni fa in commissione Bilancio alla Camera; poi è stata discussa in aula prima e dopo la fiducia». Sta di fatto che mentre il Pdl ha difeso la norma, con Italo Bocchino e Osvaldo Napoli, mentre i ministri Gianfranco Rotondi e Roberto Calderoli hanno disconosciuto la paternità dell'Esecutivo: «la colpa è del Parlamento» ha detto Calderoli.

L'arcano sull'origine della norma è stato svelato da Gianfranco Conte (Pdl), presidente della commissione Finanze della Camera, e presentatore con la Lega dell'emendamento durante l'esame in Commissione alla Camera. Il loro intento era quello di aiutare le Poste, alle prese con il contenzioso di numerosi precari con cui sono stati siglati contratti irregolari. Racconto confermato da Pierpaolo Baretta, capogruppo del Pd in commissione, che si era battuto contro la norma. «Il governo - contesta l'ex sindacalista Cisl - non può fare Ponzio Pilato e lavarsene le mani. L'emendamento lo ha accolto e lo ha inserito nel maxi-emendamento su cui ha chiesto la fiducia». La richiesta al governo di cancellare al Senato la norma arriva unanime da tutte le opposizioni, parlamentari ed extraparlamentari: da Enrico Letta a Pierferdinando Casini, da Pierluigi Bersani a Silvana Mura di Idv, da Oliviero Diliberto a Roberto Fiore del Fronte nazionale.

Anche il sindacato fa sentire la sua voce con il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, che invita il Governo «a non nascondere dietro un dito le proprie contraddizioni». E il segretario generale di Slc-Cgil, Emilio Miceli, lancia un allarme paradossale: la norma potrebbe far saltare l'accordo sottoscritto dalle Poste con i sindacati per la stabilizzazione dei precari. «La situazione nelle Poste era già preordinata e risolta - ha detto Miceli - e la sollecitudine del Governo è quanto mai sospetta». Il ragionamento comune, esplicitato da Enrico Letta, ministro ombra del Welfare, è semplice: «Dal momento che il Governo nega la paternità del grave emendamento, c'è una sola via d'uscita, semplice e lineare: il Senato elimini l'emendamento». Il punto è che il silenzio del Tesoro è assai eloquente. E lo spiega il presidente della commissione Bilancio del Senato, Azzollini: «al momento il Governo non ha modificato la propria posizione, e cioè quella di portare a termine la manovra prima possibile». Il motivo è semplice: «se dice sì al cambiamento di uno dei contenuti della manovra, si aprono le cataratte» degli emendamenti. La soluzione riferita da Azzollini è quella di un successivo decreto alla manovra che la modifichi «di intesa con le parti sociali». Soluzione che andrebbe bene anche a Sacconi. «L'intera materia andrà rivista - ha commentato Brunetta - e credo che il ministro Sacconi abbia la capacità e la sensibilità per farlo». Diverso il caso sull'articolo 60 della manovra, sulla flessibilità del Bilancio, che anche il Quirinale ha chiesto di ritoccare: «quella è una cosa diversa - osserva Azzollini - è un problema di natura tecnica, di procedura. Se il Governo decide di modificarla, poi la manovra viene approvata in due giorni alla Camera in terza lettura».

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