Bella l'Italia degli onesti. Molto meno quella dei disonesti che si attaccano a tutto pur di rimpinguare lo stipendio. La tradizione di indebite richieste di rimborsi spese pare abbia radici profonde, e ora arriva una ricerca ad attestarlo. Secondo l'indagine condotta in 18 Paesi dalla Kds (società di gestione dei viaggi d'affari), sarebbe addirittura un italiano su tre a gonfiare la propria nota spese.
Dalle ricevute di taxi per corse inesistenti ad altri esborsi mai avvenuti, la lista delle piccole frodi è lunga. Venirne a capo è difficile: l'assenza di resoconti affidabili, sommata alla diffusa tolleranza aziendale (spesso da essere ormai una regola), rende il compito arduo a chi ricerca gli abusi.
Fare chiarezza sulle note spese appare però inderogabile, in un periodo di caccia ai costi. È stato fondamentale, ad esempio, per Giulio Cesareo che, dopo anni trascorsi alla guida di importanti società ha deciso di fondare una propria azienda, Directaplus. Con ufficio a Como, sede legale a Londra, soci in North Carolina e un team di ricerca in Ohio è chiaro che una gestione superficiale dei conti avrebbe condannato l'impresa al fallimento.
«Per questo è stato necessario ribaltare l'approccio tradizionale vigente nelle aziende, responsabilizzando i collaboratori – spiega Cesareo –. Nelle grandi società c'è un sistema molto rigido di rimborso spese. Secondo una logica paternalistica, si trasforma la gestione delle note in uno strumento di controllo. Il risultato? Quello di generare una reazione nel dipendente che cercherà di ottenere più rimborsi di quanti gli spettino». Un loop negativo.
Gonfiare una nota spese non è difficile. La ricerca Kds illustra le pratiche più comuni: sono le stesse in tutti i Paesi. La più diffusa riguarda senza dubbio le vetture aziendali. Vengono dichiarati più chilometri di quelli percorsi realmente, al fine di ottenere un maggiore indennizzo per il carburante.
«Le frodi non avvengono tanto per le auto personali fornite dalle aziende – precisa Alberto Lamberti, amministratore delegato di Major 1, società di consulenza specializzata in questi temi –. Per quelle, che effettuano sempre tragitti regolari, è sufficiente il calcolo del consumo medio e l'analisi delle schede carburante. La vera incognita è il parco auto a disposizione di tutti. Le macchine usate dai fattorini così come quelle utilizzate per andare a prendere i clienti. In quel caso tenere una contabilità precisa e risalire agli autori di false dichiarazioni è impossibile». Salvo i tentativi particolarmente maldestri, sottolinea Paolo Citterio, presidente del Gruppo intersettoriale dei direttori del personale (Gidp): «Come quegli agenti che dichiaravano frequenti viaggi tra Roma e Milano senza mai allegare i pedaggi autostradali, al punto che gli ispettori chiesero loro se percorrevano soltanto strade locali».
E la voce carburanti non è l'unica a incidere. Almeno un'altra è particolarmente rilevante: pasti, bar e piccole spese. Al punto che per ogni fascia di manager viene spesso definito un tetto di spesa possibile. L'anedottica aziendale è quanto mai ricca: racconta anche di chi, mentre esce da un locale, fa incetta di scontrini e ricevute dimenticate sugli altri tavoli per aggiungerli alla propria nota spese.
Ma come nasce tutto questo? Sono davvero, come sostiene Cesareo, le logiche di egemonia e rivalsa che si instaurano in un ufficio a generare il ricorso a tali stratagemmi? O è la sensazione di ottenere così una sorta di aumento dello stipendio? Secondo Lamberti, questi elementi concorrono ma c'è anche un problema alla base: «Non esistono due aziende che gestiscono queste voci di spesa nello stesso modo». Non è chiaro, ad esempio, a chi vada rivolta la richiesta. Se infatti la domanda di rimborso parte dal dipendente e va al suo diretto superiore, non è scontato a chi poi venga inoltrata: se all'ufficio del personale, che la considera tra le proprie competenze, o agli uomini dell'amministrazione, ai quali spetta in ogni caso l'effettivo rimborso.
E anche il tradizionale conteggio a fine mese comincia a creare problemi. Ai lavoratori, che lo considerano troppo remoto, perché nel frattempo smarriscono scontrini, ricevute e si dimenticano anche di presentare le richieste. E alle aziende, per le quali è invece troppo vicino (spesso preferiscono posticipare i pagamenti nella mensilità successiva). Per le società quotate la questione è più complessa: per loro è necessario avere una stima precisa delle spese in occasione delle chiusure trimestrali.
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna i tempi si stanno accorciando e ormai per un dipendente su tre è sufficiente aspettare soltanto una settimana. La tendenza sembra questa: l'obiettivo è trasferire tutto il sistema dei rimborsi nella rete aziendale, abbandonando i classici fogli elettronici a favore di procedure che rendano visibili i dati bancari di ogni singola spesa. In Inghilterra lo ha fatto il 32% delle imprese, in Francia il 24 % e negli Stati Uniti già il 53 per cento. «E anche in Italia qualcosa è cambiato» spiega Linda Gilli, presidente di Inaz.
Le aziende più attente stanno adottando il nuovo sistema, che prevede il rimborso immediato per chi ne fa richiesta, salvo poi chiederne conto puntualmente, già il mese dopo, se la cifra dovesse apparire ingiustificata».