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Welfare, più figli contro il rischio pensioni

di Paolo Bricco

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28 agosto 2008

Sorpresa: se hai la prospettiva di ricevere, fra trent'anni, una pensione più bassa, ti metti a fare figli.

A evidenziarlo, è un paper di Vincenzo Galasso e Francesco Billari, economista e demografo della Bocconi, che ne presenteranno i risultati, dalle rilevanti implicazioni di policy per la scena italiana ed europea, questo pomeriggio alle 15 nell'ateneo di Milano, dove ieri si è aperto il convegno della European economic association (Eea) e della Econometric society (Esem) al quale stanno partecipando circa 1.500 economisti provenienti da una cinquantina di Paesi.

«Di solito - spiega Galasso - si tende a pensare che, al peggioramento della propria posizione economica presente e futura, corrisponda una diminuzione della voglia di fare figli. Una parte della teoria economica ha spiegato questa convinzione considerando i figli alla stregua dei beni di consumo». Tanto che, in Europa, alcuni sottolineano che sono le famiglie più ricche a potersi permettere un numero elevato di figli. «In realtà - dice Galasso -, se vogliamo utilizzare il linguaggio e gli strumenti concettuali dell'economia, i figli appaiono più come beni di investimento».

Utilizzando i dati della Banca d'Italia, lui e Billari hanno studiato cosa è capitato nelle famiglie con due caratteristiche: sono state coinvolte dalle riforme Amato del 1992 e Dini del 1995, in funzione del numero di anni di contributi già versati dai loro membri, e la donna aveva meno di quarant'anni (dunque era in età ancora fertile). In particolare, hanno paragonato le loro storie personali con quanto è successo nelle famiglie che per un soffio, grazie a un diverso numero di anni di contributi già versati, sono state "graziate" dal peggioramento dei loro futuri profili pensionistici. «Il risultato è stato sorprendente - osserva Galasso –: chi ha saputo che trent'anni dopo avrebbe fatto i conti con una pensione inferiore ha reagito oggi facendo più figli». Sotto il profilo statistico i numeri sono significativi: dal 1993 il tasso di fertilità è del 20% più alto rispetto a quello degli "scampati" alle riforme Amato e Dini. Dopo le riforme, nasce un figlio ogni quattro coppie non toccate da queste ultime e ne nascono due ogni cinque coppie coinvolte in esse.

«In un Paese a bassa natalità come l'Italia - dice Galasso - questi scarti in avanti producono effetti complessivi rilevanti. Basti pensare che il 20% in più di probabilità di avere un bambino riguarda spesso chi ne ha già uno. E, quindi, rappresenta un potenziale punto di rottura per una struttura sociale storicamente fondata sul figlio unico».

Ma, soprattutto, il bambino appare sotto una luce diversa. Con il freddo punto di vista dell'economia classica, un nuovo figlio assume i contorni di un bene di investimento, che domani contribuirà alla tua vita da anziano dedicandoti del tempo libero (al posto delle badanti, per esempio) oppure dandoti dei soldi con cui attutire i colpi inferti, molto anni prima, dalla necessità di ristrutturare il sistema pensionistico italiano.

«C'è poi un'altra ricaduta interessante - sostiene Galasso -: in qualche maniera i nostri risultati incrinano uno degli assunti del pensiero comune sulle pensioni. Di solito si dice: la spesa pensionistica è insostenibile perché gli italiani fanno un numero insufficiente di figli perché questi ultimi riescano a ripagare le loro pensioni. Qui, però, accade che, con una conseguenza inaspettata delle riforme delle pensioni, i nostri connazionali tornino a mettere al mondo bambini».

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