CERNOBBIO – La prima giornata del workshop Ambrosetti a Villa d'Este di Cernobbio si è aperta con un faccia a faccia fra il capo dello Stato israeliano Shimon Peres e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (trasmessa in video conferenza in sala stampa). Moderatore della tavola rotonda è stato Richard Hollbrooke, ex mediatore per i Balcani con l'Amministrazione Clinton.
«Siamo ancora sulla nave, ma sempre più vicini alla costa» con questa immagine Peres ha voluto simbolicamente aprire il suo intervento di Cernobbio, aggiungendo che dal negoziato politico potrà nascere anche la cooperazione e lo sviluppo economico sia per Israele che per la Palestina. Peres si è detto inoltre convinto che non sia necessario usare le armi nei confronti dell'Iran. «Credo che il problema - ha spiegato - possa essere risolto non militarmente ma politicamente ed economicamente.
Fino a che c'è una possibilità di agire politicamente ed economicamente è molto meglio». Tuttavia «il mondo non può permettere - ha proseguito Peres - che della gente fanatica abbia in mano strumenti nucleari, non penso che Putin e il futuro presidente Usa possano permetterlo». Infatti l'Iran non è un problema per Israele ma un problema per la pace».
Una visita del presidente siriano Assad in Israele, o un invito a Damasco da parte della Siria al primo ministro israeliano rappresenterebbe «un grande cambiamento» ha detto ancora Shimon Peres a Cernobbio, ricordando l'importanza che altre visite di leader arabi hanno avuto in passato, come quelle ormai storiche di Sadat o di re Hussein di Giordania, che visitò anche le famiglie di alcune persone uccise da un soldato giordano: «Un gesto - ha osservato - che ha toccato il nostro cuore». L'elemento emozionale, secondo il presidente israeliano, deve essere «introdotto da entrambe le parti. La pace non è un tavolo di dadi, non è vincere ma accomodare la situazione». L'intervento di Peres è stato soprattutto un invito a negoziare. Anche parlando della proposta lanciata alcuni anni fa dalla Lega Araba, ha detto che non ci può essere «un prendere o lasciare. Non c'è un sostituto - ha aggiunto - per il negoziato».
Nel suo intervento in sala Abu Mazen ha sottolineato che ogni accordo con la Libia o la Siria è importante per la stabilità della regione. Nel dibattito i due interlocutori hanno affrontato anche le relazioni con Siria e Libano, Hamas e Hezbollah.
Sul processo di pace Abu Mazen non ha comunque taciuto i problemi: «Sono sei i nodi da sciogliere nei rapporti tra Israele e Palestina, senza la soluzione dei quali non sarà possibile raggiungere un accordo. Eccoli: Gerusalemme, i profughi, il possesso delle acque, i confini, la sicurezza e gli insediamenti israeliani nei territori. «Non basterebbe risolverne cinque su sei», ha detto Abu Mazen facendo intendere che c'è solo una alternativa: o tutto o niente. «Mi auguro che il nuovo presidente degli Stati Uniti - ha aggiunto Abu Mazen - si attivi subito», ricordando che l'attuale Amministrazione americana ha atteso sette anni prima di impegnarsi nel processo di pace in Medio Oriente. Su Hamas, Abu Mazen ha detto che non è un ostacolo al processo di pace perchè «il presidente dell'Autorità nazionale palestinese sono io e sono io a dover trattare con Israele».
Al termine della conferenza stampa il presidente israeliano e il leader dell'Autorità nazionale palestinese si sono abbracciati e ripetutamente stretti la mano di fronte a fotografi e telecamere.
