Secondo il rapporto dell'Ocse sull'Istruzione reso noto quest'oggi, mentre la media delle principali economie mondiali investe il 5,8% del Pil nel proprio sistema scolastico, in Italia questa percentuale scende al 4,7%. L'Italia investe piu' della media Ocse negli alunni delle elementari ma perde poi terreno a livello di studi secondari e finisce nelle retrovie per le spese in licei e universita'.
Dietro questo dato vi è un'architettura del sistema di istruzione italiano che è rimasta quella del secondo dopoguerra, con un peso relativamente elevato dell'istruzione di base che si attenua, fino a diventare, inadeguato, man mano che ci si sposta ai livelli più elevati del percorso formativo. Ma, quelli del sistema universitario italiano non sono solo problemi di risorse. L'obbiettivo di diffusione dell'istruzione di base nelle diverse aree del paese si è tradotto nella moltiplicazione di corsi di laurea e di sedi incapaci di realizzare la necessaria integrazione tra ricerca e insegnamento. La ricerca di un modello universalista e la mancata introduzione di filtri selettivi sul lato della domanda si sono tradotti, nel tempo, in una insufficiente differenziazione delle nostre università e in meccanismi di finanziamento incentrati sulla spesa storica e su parametri esclusivamente quantitativi (numero degli studenti). Un assetto, questo, che si rivela incapace di promuovere condizioni di trasparenza e di concorrenza tra le università.
(*) Direttore del Cerm
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