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Più corsi per lavorare in Italia

di Giovanna Faggionato

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24 Dicembre 2008

Tentare di governare i flussi migratori attraverso una formazione mirata dei cittadini stranieri che aspirano a entrare in Italia può apparire una chimera. Invece no: il nostro Paese ci sta provando e gli esperimenti, anche se limitati, fanno ben sperare.
I programmi di formazione dei lavoratori nei Paesi d'origine sono previsti dall'articolo 23 del Testo unico sull'immigrazione come titolo di prelazione per l'ingresso in Italia. I progetti pilota sono partiti 4 anni fa, quando la Direzione immigrazione del ministero del Lavoro con il coinvolgimento delle Regioni Lombardia, Veneto e Toscana e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni ha promosso tre esperimenti in Tunisia, Moldavia e Sri Lanka. La struttura base dei progetti di istruzione comprende un corso di lingua italiana di livello intermedio, certificato da un'istituzione riconosciuta dalle autorità del nostro Paese, alcune ore di educazione civica e di elementi di sicurezza sul lavoro o di diritto del lavoro e, quando necessario, la formazione professionale specifica per il comparto in cui il lavoratore andrà a operare. Presupposto fondamentale per l'istituzione dei corsi è il monitoraggio delle esigenze produttive del mercato italiano e l'impegno da parte delle imprese ad assumere, una volta concluso il progetto, coloro che sono riusciti a superare l'esame di lingua o abbiano ottenuto la qualifica richiesta.
La ricetta è di per sè semplice, ha il pregio di venire incontro alle esigenze di manodopera qualificata delle aziende nostrane e al tempo toglie terreno alle piaghe legate all'immigrazione clandestina, in primis il lavoro nero e la difficoltà di integrazione sociale. Complesso invece è il coordinamento tra tutti gli attori coinvolti: le autorità straniere, spesso i sindacati, le ambasciate e i centri di formazione e per l'impiego dei Paesi d'origine e le associazioni di imprenditori e gli enti locali. Per avviare la sperimentazione su base nazionale, nel 2005 il ministero ha distribuito, in base alle diverse esigenze delle Regioni e delle Province autonome, 5 milioni di euro provenienti dal Fondo di rotazione per la formazione professionale e l'accesso al Fondo sociale europeo. Altri corsi sono stati quindi promossi dalle Regioni Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Emilia-Romagna e ancora Veneto, in Bosnia, Brasile, Etiopia, Marocco e Ucraina. Nel maggio del 2007, poi, è stato istituito un comitato di 3 membri – due rappresentanti del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e uno del ministero dell'Università e della Ricerca – per la valutazione dei progetti.
In un anno e mezzo il comitato ha visionato 42 proposte e ne ha approvate 23: sono 672 i lavoratori stranieri coinvolti (si vedano i dati accanto). E se nella prima fase a prendere l'iniziativa erano state soprattutto le Regioni del Centro-Nord, oggi i soggetti sono i più vari. Ci sono le associazioni operanti nel settore dell'immigrazione come Apolié, le organizzazioni internazionali come l'Oim, le associazioni imprenditoriali e le cooperative, tutti pronti a finanziare i corsi autonomamente. Tra le Regioni, che invece possono ancora contare sui fondi stanziati nel 2005, sono attive la Lombardia, le Marche e la Puglia. Anche a livello regionale i progetti possono essere presentati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e i loro enti bilaterali o associazioni operanti nei settori dell'immigrazione, agenzie per il lavoro autorizzate e enti di formazione. Che devono analizzare il fabbisogno di figure professionali del territorio, prevedere il percorso di inserimento lavorativo e verificare costantemente la disponibilità delle imprese.
«L'iniziativa ha avuto successo, le amministrazioni locali si sono impossessati delle technicalities e le aziende la usano sempre di più – commenta Giuseppe Silveri, direttore generale delle Politiche per l'immigrazione del ministero del Lavoro –. Gli imprenditori possono formare i profili che servono realmente e reclutare manodopera con una qualificazione medio-alta, in primo luogo lavoratori che conoscono la nostra lingua e le regole del nostro mercato del lavoro». A maggior ragione in un periodo di crisi, assicura il direttore generale, sono caratteristiche che fanno la differenza: «Nel prossimo futuro questo strumento verrà potenziato ampiamente». L'intero progetto va ad inserirsi in un quadro molto più ampio di accordi bilaterali in materia di lavoro sviluppato negli ultimi anni: protocolli di intesa per la regolamentazione dei flussi sono già stati siglati con Moldavia, Marocco e Egitto e sono in corso negoziati con il Governo tunisino. In cantiere c'è anche l'idea di istituire una banca dati di manodopera qualificata per ogni Paese.
A incrinare un po' il complesso meccanismo di network territoriali e internazionali vi è però la mancanza di un sistema di garanzia degli ingressi. Il decreto flussi del 2007 prevedeva 1.500 posti riservati per cittadini stranieri non comunitari che avessero completato programmi di istruzione nei Paesi d'origine. Se però i futuri datori di lavoro non sono in grado di presentare domanda per il lavoratore, perché il corso non si è concluso, non sono stati rilasciate le certificazioni o non si sa ancora chi passerà gli esami, le quote vengono redistribuite. È successo l'anno scorso e c'è ancora chi attende di sapere quando avrà la possibilità di entrare in Italia. Il rischio concreto è perdere il patrimonio di denaro, di competenze, di relazioni investito e costruito. Silveri promette che il problema sarà arginato in fretta, attraverso un meccanismo di ingresso agevolato: «una vera e propria corsia veloce», da attivare nei prossimi mesi.

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