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Recessione inevitabile e difesa del mercato

di Innocenzo Cipolletta

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28 Dicembre 2008


Come è nata la recessione che sembra devastare l'economia mondiale? Molti hanno puntato il dito contro i regolatori, incapaci di controllare le banche che avrebbero dato il via alla crisi sistemica. Altrettanti hanno messo in evidenza i limiti dei politici, che hanno spinto l'economia al massimo senza rendersi conto degli squilibri che stavano determinando. C'è chi se l'è presa con l'avidità dei banchieri o dei petrolieri, o ha sottolineato i rischi generati dai fondi sovrani. O chi ha accusato economisti, politici e politologi di non aver saputo prevedere e prevenire la crisi, malgrado fosse stata annunciata da molti.
In realtà questa recessione viene da lontano e ha le sue origini proprio nel successo della politica economica degli ultimi decenni. Non è un paradosso, ma la crisi nasce dopo un periodo relativamente lungo di crescita economica mondiale, sostenuta e senza inflazione. Questo periodo è stato il frutto dei molti interventi di politica economica e delle riforme avviate per sconfiggere un male che aveva contaminato tutti i Paesi dopo il primo shock petrolifero, nel 1973. Quel male si chiamava stagflazione ed era una combinazione di crescita bassa e alta inflazione, esattamente l'opposto di quanto avvenuto ora.
Le cause della stagflazione erano state individuate, secondo le analisi di quegli anni, nella eccessiva rigidità dei mercati che non riuscivano ad adattarsi rapidamente a shock di offerta, come era stato il quadruplicamento del prezzo del petrolio dopo l'embargo alle esportazioni deciso dall'Opec per protestare contro la vittoria israeliana alla guerra del Kippur (autunno 1973).
La cura contro la stagflazione fu la libertà dei cambi delle monete, l'introduzione di misure di flessibilità nel mercato del lavoro, la deregolamentazione dei mercati, la privatizzazione delle imprese pubbliche, l'apertura dei mercati alla concorrenza interna e internazionale, la messa al bando degli aiuti pubblici alle imprese, la supremazia dei regolatori del mercato rispetto ai politici, l'uscita della politica dall'economia e tante altre riforme che hanno caratterizzato gli ultimi anni del secolo scorso.
Questi principi sono entrati prepotentemente nel dibattito pubblico, al punto che ne sono nati veri e propri movimenti politici basati su queste riforme. Dalla rivoluzionaria Margaret Thatcher che sconfisse il sindacato nel Regno Unito, alle teorie dell'offerta che erano alla base della politica del presidente americano Ronald Reagan, fino alla nascita in Italia di un nuovo partito, Forza Italia, poi non a caso confluito nel Partito delle Libertà.
Tutte queste politiche e queste riforme, a cui è legata l'esplosione dell'innovazione tecnologica e la globalizzazione dei mercati, hanno concorso a modificare ampiamente il quadro di funzionamento dell'economia, che è diventata flessibile, al punto tale da alzare di molto la soglia dell'inflazione. Infatti, eventuali eccessi di domanda hanno finito per trovare sempre una rapida risposta dell'offerta senza generare inflazione, grazie alla ritrovata flessibilità del mercato del lavoro (dove operano ormai molti immigrati), di quello delle merci (con nuovi produttori a bassi salari) e di quello della finanza, dove sono sorte molte innovazioni tese a favorire una crescita sostenuta dell'economia reale.
Vengono da qui gli anni della crescita senza inflazione dell'ultimo decennio, che hanno incantato la Federal Reserve americana, convinta che la produttività indotta dall'innovazione tecnologica avrebbe consentito una crescita non inflazionistica per molto tempo. L'Europa è stata in parte risparmiata da questa illusione grazie, paradossalmente, alle rigidità residue che facevano riemergere di tanto in tanto il rischio inflazione, ciò che spiega anche la maggiore prudenza della Bce nella politica monetaria.
Ma l'assenza dell'inflazione non significava affatto assenza di squilibri. Questi si sono manifestati per altre vie, in particolare negli Usa (disavanzi nella bilancia dei pagamenti, squilibri di finanza pubblica, eccesso di indebitamento delle famiglie e scomparsa del risparmio), generando bolle speculative successive, che sono state spente senza ricorrere alle tradizionali strette creditizie, per tema di dover incorrere in una recessione. Tuttavia, la recessione, come ben sanno gli economisti, non è una malattia, bensì è la cura alla malattia che genera squilibri. Sicché, alla fine, anche gli Usa si sono dovuti rassegnare a controllare i loro squilibri, quando la bolla immobiliare è scoppiata e con essa è saltato tutto il castello finanziario che era stato costruito.
Ora, per tentare di contrastare la recessione, invece di correggere gli eccessi e di riscrivere alcune regole dei mercati per salvaguardare le riforme che ci hanno fatto crescere, sta emergendo una nuova teoria economica, opposta a quella delle liberalizzazioni. Una teoria che rispolvera il cosiddetto pragmatismo piuttosto che il rispetto di alcuni principi, la discrezionalità della politica rispetto all'osservanza delle regole, la difesa degli interessi nazionali rispetto alle aspirazioni di libertà, la chiusura dei mercati rispetto al loro corretto funzionamento, il sostegno indiscriminato alla domanda interna invece dell'edificazione delle regole per far funzionare meglio i mercati.
  CONTINUA ...»

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