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A Torino cassa integrazione record

di Paolo Bricco

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13 Dicembre 2008


Lunedì le fabbriche italiane della Fiat chiuderanno per quasi un mese. Da ieri, a Mirafiori le linee produttive sono ferme. E, per Torino, si profila uno scenario quasi dickensiano. Secondo le stime della Cisl, a dicembre le ore di cassa integrazione sfioreranno i due milioni.
Questo numero, che finora era stato pronunciato sottovoce dagli addetti ai lavori, è scandito da Nanni Tosco, segretario della Cisl di Torino: «Il fenomeno - osserva - riguarda l'intero tessuto produttivo, e non solo quello meccanico imperniato sulla Fiat. Perfino una azienda come la Lavazza, per la prima volta, ha fatto ricorso alla Cig». La sequenza dei numeri è eloquente: a settembre 662mila ore, a ottobre 907mila e a novembre 1,6 milioni. Nei primi dodici giorni di dicembre si sono contate 1,4 milioni di ore di cassa integrazione. «Da qui alla fine dell'anno - precisa Tosco - lambire i 2 milioni è tutt'altro che improbabile».
Le aziende associate all'Unione industriale di Torino che vi hanno fatto ricorso sono 200; 15mila i loro addetti finiti in cassa. Quelle dell'Api sono 299 (12.200 i cassintegrati). «Le imprese legate a Confindustria e Api - dice Tosco - sono il 70% del totale». Dunque, si può stimare che a Torino, in queste condizioni, ci siano oltre 700 società; almeno 40mila gli uomini e le donne a casa, a 700 euro al mese. La statistica fotografa bene il tipo di urto prodotto su scala locale dal contagio che, con la crisi dei subprime, si è trasmesso al manifatturiero di tutto il mondo. Ma questo aspetto si intreccia a Torino con una questione strategica di medio-lungo periodo, connaturata alla Fiat.
Quasi una ironia della sorte, per una città che ha provato a coltivare una vocazione al turismo e all'high-tech, cavalcando la retorica del cambiamento post-fordista e post-agnelliano. Dunque nella dimensione Fiat-centrica, involontariamente ritrovata, due faglie si sovrappongono: le scelte della Fiat e le condizioni generali del mercato dell'auto.
«Lo scenario internazionale - osserva Giuseppe Berta, ex responsabile dell'archivio storico della Fiat e docente di Storia contemporanea alla Bocconi - è così in movimento da far sì che, alla fine, ancora non si sappia nulla. Ci sono una serie di incognite che rendono impossibile capire quale futuro possa avere Torino». La prima è l'esito del conflitto politico che si è acceso negli Stati Uniti intorno al piano di intervento prospettato dal neopresidente Barack Obama. Interventi nel capitale.
La nomina di uno "zar" incaricato da Washington di verificare il buon utilizzo del denaro pubblico. La cifra complessiva stanziata a favore di General Motors, Chrysler e Ford, con sullo sfondo l'ipotesi di amministrazione controllata da Chapter 11. Tutte queste decisioni cambieranno le condizioni del mercato. «Il problema delle asimmetrie fra Stati Uniti e Europa - nota Berta - non potrà venire eluso». I vertici della Fiat sono stati molto chiari: non hanno mai chiesto sussidi pubblici nazionali. Diverso il discorso sugli interventi europei, soprattutto se finalizzati all'incremento della eco-compatibilità dell'auto. Un tema che alimenta il dibattito nelle stanze di compensazione del potere torinese, che in questo periodo si trova fra l'incudine dell'assenza di leve vere con cui affrontare le ricadute locali della recessione e il martello di una ricomposizione degli equilibri fra Comune e fondazioni ex bancarie, a fronte di risorse pubbliche che scarseggiano e dividendi ormai meno copiosi di un tempo. «Se gli Stati Uniti intervengono - dice Tom Dealessandri, vicesindaco a cui Sergio Chiamparino delega molti dossier su Fiat - l'Europa non può stare ferma. Niente interventi nel capitale. Ma sostegni all'innovazione, sì. E di profilo comunitario». Una posizione condivisa da Tosco, rappresentante di quella Cisl che, nemmeno in passato, poteva essere tacciata di "collateralismo" con la grande fabbrica: «Niente soldi diretti alla Fiat o ai componentisti, ma sì a un intervento congiunto di stampo europeo sulla rete dei distributori di carburanti alternativi e sugli sgravi agli acquirenti di auto verdi, così da spingere tutti i produttori, non solo il Lingotto, verso l'alimentazione ecologica».
Ci sono, poi, le scelte strategiche di Sergio Marchionne e di Luca Cordero di Montezemolo. «Una aggregazione con un altro produttore - dice Berta - non potrà non avere effetti su tutta la capacità produttiva». E, così, per la città sembra archiviato il breve periodo aureo del risanamento finanziario e del consolidamento organizzativo impostati dal manager italo-canadese. «Alla marea montante della Cig - afferma Tosco - , che già induce una forte depressione in tutta Torino, va aggiunta la fine di un piccolo sogno, perché a Mirafiori i nostri operai erano tornati a produrre con orgoglio ed entusiasmo».
paolo.bricco@ilsole24ore.com

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