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L'impennata dei pignoramenti il termometro più sensibile

di Roberto Fontana *

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26 Gennaio 2009

Dai dati raccolti dai Tribunali emerge un significativo aumento nel 2008 delle dichiarazioni di fallimento e dei concordati preventivi. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le risultanze delle istruttorie prefallimentari consentono di affermare che l'aumento dei fallimenti non è una conseguenza della crisi economica in corso. Questa, infatti, si è finora manifestata nell'ambito giudiziario essenzialmente nella rilevante crescita delle procedure esecutive immobiliari nei confronti principalmente di mutuatari e condomini.
La crisi determinerà invece un aumento delle dichiarazioni di fallimento probabilmente nella seconda metà del 2009, dovendosi considerare che, anche in ragione della scelta del legislatore di non accogliere la proposta dell'introduzione in Italia del sistema delle misure d'allerta, è notevole la sfasatura temporale tra l'effettivo manifestarsi dell'insolvenza e la sentenza di fallimento. L'aumento dei fallimenti che si è registrato nel 2008 è dovuto dunque quasi esclusivamente alla modifica della Legge fallimentare, in vigore dal 1° gennaio 2008, che, rendendo meno difficile la posizione del creditore, ha posto a carico del debitore l'onere di provare il mancato superamento, negli ultimi tre esercizi, di alcuno dei limiti previsti per l'esenzione dell'impresa dalle procedure concorsuali.
Il maggior numero di fallimenti è quindi rappresentato da fallimenti di debitori che non si sono presentati all'udienza prefallimentare o che, non avendo più da tempo depositato i bilanci, non sono stati in grado di fornire al Tribunale la prova richiesta. Per lo più si tratta di fallimenti senza attivo e la cui rilevanza, quando risulteranno condotte illecite in danno dei creditori, sarà sul piano della responsabilità penale degli amministratori.
Nell'aumento dei concordati preventivi sono invece già ravvisabili i sintomi della crisi in corso. Il dato più rilevante rimane però il loro modesto numero, al di sotto di quanto si prevedesse all'entrata in vigore della riforma.
Osservando il fenomeno dagli uffici giudiziari, la percezione è che nella stragrande maggioranza dei casi la sistemazione delle crisi d'impresa, soprattutto quando esiste ancora una realtà aziendale, non si avvale dello strumento concorsuale e rimane completamente al di fuori dell'orbita giudiziaria.
Questa modesta valorizzazione è probabilmente determinata da una certa diffidenza per l'istituto e anche, per altro verso, da una maggiore propensione dei creditori, rispetto al passato, ad accettare in sede stragiudiziale soluzioni fortemente riduttive sotto il profilo della percentuale di soddisfacimento, nella consapevolezza che le percentuali proposte potrebbero essere imposte, a maggioranza, con il concordato, essendo venute meno sia la regola del pagamento integrale dei creditori privilegiati, sia la soglia del 40% per i creditori chirografari.
Ma una causa non secondaria nel mancato decollo del nuovo concordato preventivo è rappresentata dall'esistenza, anche dopo il correttivo, di numerose incertezze su punti cruciali come la posizione dei creditori con privilegio generale e il rapporto tra concordato e transazione fiscale. Sotto questo profilo potrà essere decisiva la capacità della giurisprudenza di elaborare soluzioni condivise e stabili nel tempo, salva la possibilità di un nuovo intervento legislativo, peraltro auspicabile per riequilibrare la disciplina a tutela dei creditori più deboli.

* Magistrato, sezione fallimentare
Tribunale di Milano

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