Non chiamateli ex dirigenti di azienda. Perché, anche ora che fanno i consulenti, sono comunque manager. Di se stessi. Intraprendenza, networking e continua formazione sono gli strumenti necessari per portare all'azienda quel valore aggiunto che ci si aspetta dal professionista esterno. Che non perde le proprie capacità manageriali, ma le mette a disposizione del cliente.
«Non subire una situazione ma gestirla. Essere pro-attivi», è questo il segreto per fare il consulente, spiega Maurizio Bottari: «Il manager non può pensare che il suo incarico duri per sempre. Il mondo sta cambiando e quando sei fuori dall'azienda devi nuotare rapidamente». Deciso come un manager e ottimista come un imprenditore, Bottari nel 2001, a 39 anni, direttore delle risorse umane per Sviluppo Italia, decide di misurare le proprie capacità fuori dall'azienda. E si mette sul mercato. «Valgo in quanto direttore di grandi aziende o perché sono competente?», si chiede. Dopo un rapido check up delle proprie capacità, inizia a fare il free lance, lavora in una società di consulenza e alla fine si mette in proprio: nel 2003 nasce Ambire, società che si occupa di head hunting e di sistemi di sviluppo delle risorse umane e di cui Bottari è amministratore: «Mi sono lanciato in questa sfida professionale e non tornerei indietro». Soddisfatto della propria scelta è anche Vito Piccinini, 20 anni di esperienza nel settore automotive, lavora sino a luglio 2008 per Mercedes-Benz come retail manager, poi quando la filiale di Roma decide di ridimensionare il personale, si toglie l'abito da manager indossato sino all'età di 52 anni. «Mi sono rimesso in gioco», racconta. Decide di provare la strada della consulenza immobiliare, ma visto che il mercato è fermo anche lì, Piccinini ritorna all'automotive e apre la partita Iva. Una scelta dettata dalla consapevolezza di avere le competenze necessarie e dall'offerta di un'azienda che commercializza veicoli industriali e ha bisogno di una consulenza per la prima fase di avviamento.
Piccinini a febbraio si trasferirà da Roma a Milano per seguire questo progetto a tempo determinato. «Il mio obiettivo è portare la società a un risultato di redditività tale che possa beneficiare anche io di questi risultati», commenta, consapevole che se il manager «ha un paracadute economico», il consulente ha «la grinta e le competenze per crearsene uno ancora più grande». Tutto dipende da come affrontare il salto.
«Quando sono uscita dall'azienda è stato un momento difficile perché era come se avessi affidato a lei per tanti anni tutta la mia professionalità. È stato come tagliare un cordone ombelicale», Edvige Della Torre, classe 1957, a 34 anni è già direttore marketing della Divisione gioielleria del World gold council Italia. Poi entra nella direzione risorse umane di un'importante società di consulenza, ma quando nel 2008 lascia l'incarico, è perché la società non mantiene le promesse: «Volevo entrare nella stanza dei bottoni e davanti a un no, ho capito che dovevo giocare in maniera autonoma, su un nuovo mercato, nel quale ero io la mia azienda», racconta Della Torre, che per fare la consulente non ha mandato "cento curriculum vitae", ma ha attivato la rete di conoscenze costruita in anni di lavoro. E le sue competenze: dall'organizzazione di eventi allo sviluppo di risorse, dalla comunicazione alla formazione, passando per l'innovazione tecnologica.
Oggi Edvige si occupa di progetti per lo sviluppo consapevole dell'impresa. «Certo non ho più le sicurezze da dipendente e i guadagni si possono ridurre anche del 40% nella fase di start up, ma ho l'entusiasmo, so che posso fare tante cose. Basta ripartire da se stessi per capire chi si è e dove si vuole andare». Così ha fatto Augusto Calderoni, che si considera un "privilegiato" perché quando nel maggio 2007 l'azienda decide di licenziarlo, può andare in pensione. Invece a 59 anni, con due figli di 9 e 12 anni, Augusto sceglie di reinventarsi. Da manager responsabile dei sistemi informativi nel settore Information technology, decide di cambiare e occuparsi di persone e di aspetti legati all'etica. L'idea è quella di «portare responsabilità sociale nelle imprese», racconta Calderoni che subito entra nel mondo delle società che fanno consulenza nel settore della formazione. «I top manager che decidono di riorientare il loro business in senso sociale, vogliono farlo con profitto – spiega – così io consiglio cambiamenti di strategia che abbiano maggiore valenza sociale ma che possano essere anche più produttivi per l'azienda».
Dalla consulenza dipendente alla consulenza indipendente è il percorso lavorativo che caratterizza invece la carriera di Daniela Dodero, 54 anni. Sino al 2007 ha lavorato come partner di Accenture nel ruolo di manager di organizzazione aziendale, poi, consapevole che in Italia dopo i cinquanta anni la carriera manageriale può interrompersi da un momento all'altro, Dodero decide di prevenire un licenziamento e si mette in proprio: «Ho iniziato a fare consulenza come libera professionista», racconta. Diventa socia di una piccola società di consulenza e consolida le proprie competenze di change management. «Prima mi occupavo di cambiamenti attraverso l'uso di processi e tecnologie, ora mi occupo di sviluppo delle competenze attraverso la valorizzazione delle persone, dei singoli. Daniela decide così di mettersi alla prova: «Oggi non mi muovo più con una grande azienda alle spalle, ma solo con il mio nome e la mia professionalità», un rischio compensato dalla maggiore libertà di sperimentare nuove soluzioni e giocare più ruoli.
CONTINUA ...»
