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Se pure lo spot digitale fa flop

di Luca Tremolada

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29 GENNAIO 2009
Nòva100

Il momento della verità sarà a giugno. Almeno su questo grandi inserzionisti, centri media, agenzia di pubblicità e concessionarie sono d'accordo. Per avere una idea più chiara dell'impatto della crisi sulle spese di comunicazione occorrerà attendere il secondo trimestre. Nel frattempo, gli addetti ai lavori preferiscono non avventurarsi in previsioni più puntuali. Quantomeno sul lungo periodo, perché nel breve, ovvero per il 2009 l'intenzione sembra un po' quella di vivere alla giornata, pianificando le spese per la pubblicità con un occhio al mercato e un altro agli indicatori economici. «I grandi inserzionisti – osserva Marco Benatti, presidente di FullSix – potrebbero operare tagli in una forchetta compresa tra il 5 e il 30 per cento. Molto dipenderà dall'esposizione finanziaria dell'azionista. Mi sembra di capire – azzarda – che chi ha più fondi di investimento nel board più tende a ridurre anche le spese in pubblicità. Settore che almeno in teoria non dovrebbe risentire della crisi». Più ottimista naturalmente l'Upa (Utenti Pubblicità Associati) che sforzandosi di guardare il bicchiere mezzo pieno auspica una maggiore fiducia da parte di tutti gli attori. Ma a descrivere l'incertezza del momento ci sono proprio le statistiche di un sondaggio all'interno dei propri associati. Il 40% degli inserzionisti, raccontano i vertici Upa, ridurrà il proprio budget, al tempo stesso però il 70% considera la pubblicità come una leva irrinunciabile. Una delle due, verrebbe da dire.

«Eppure – sottolinea Giovanna Maggioni, direttore generale dell'Upa – è un momento di grande opportunità. Ne potrebbero approfittare le piccole e medie imprese che faticano a comunicare in maniera continuativa». Se infatti il mercato è mosso in termini percentuali da pochi investitori è altrettanto vero che mai come oggi i budget delle aziende sono rivisti quasi ogni mese anche per effetto nuove offerte delle concessionarie. «Ogni giorno che passa capiremo qualche cosa di più – Valentino Cagnetta, a.d. di Media Italia, centro media del Gruppo Armando Testa –. Tuttavia, anche mantenendoci prudenti pensiamo a contrazioni nei budget fino al 10 per cento. Sempre che a maggio non ci siano segnali di ripresa».

Al di là di numeri e previsioni, quello che un po' tutti si attendono o temono, a seconda dei punti di vista, è che con il pretesto della crisi si vadano a modificare gli equilibri non solo tra i mezzi (radio, tv, stampa e digitale) ma anche tra gli attori della filiera (concessionaria, centro media, agenzia creativa, inserzionista).

«Si possono avanzare svariate ipotesi su quello che succederà da qui ai prossimi mesi – commenta Benatti –. Per esempio: se i soldi scarseggiano posso decidere di concentrarmi su pochi mezzi, magari sfruttando gli sconti che le concessionarie concedono. Oppure, ridurre non tanto il tipo di pubblicità quanto il target. Scegliere un utente preciso invece che colpire nel mucchio e qui il marketing relazionale e internet rappresentano le vere alternative. Solo così ho la certezza misurabile di raggiungere il mio target. Certo, muoversi nel digitale non è semplice e non ci si può improvvisare. La musica e i viaggi insegnano che la rete rappresenta un mezzo capace di ridurre i costi di disintermediazione. Servono soggetti specializzati e da questo punto di vista i centri media sono in ritardo».
La rete però non sembra a tutti una panacea in momenti di crisi. Anzi, a novembre (si veda Il Sole 24 Ore del 16 gennaio) la raccolta su web avrebbe accusato una battuta d'arresto.

«Tutti siamo convinti che l'online sia il futuro ma paradossalmente – sostiene Cagnetta di Media Italia – è stato l'online la grande delusione dell'anno scorso. I grandi numeri continuano a girare intorno alla televisione». Sulla stessa linea Alessandra Bellini, direttore marketing per la divisione Home & personal care di Unilever: «Nel 2008 il 77% del nostro budget è andato alla tv. E quest'anno le percentuali non cambieranno più di tanto e neppure gli investimenti in comunicazione. Sarà che un rossetto probabilmente si vende meglio in tv, ma per la tipologia dei nostri prodotti la televisione rappresenta il medium privilegiato. Quanto poi alla crisi degli ascolti della tv generalista – sottolinea il manager – il calo è di 700mila telespettatori in sette anni. Non mi sembrano numeri che descrivono un esodo di pubblico».

Non è solo Unilever a credere nella televisione. Chi giudica poco coraggiosa la scelta del piccolo schermo come mezzo-rifugio per i tempi di crisi, imputa questa visione a un atteggiamento dei centri media da sempre spalmato sulle ragioni delle emittenti. E quindi poco curioso verso i nuovi media. Naturalmente, ancora una volta non tutti sono d'accordo. «Mai come oggi ci stiamo concentrando sul consumatore – racconta Walter Hartsarich, presidente di Aegis media, centro media che rappresenta il 16% del mercato –. Prova ne è che, per quanto ci riguarda, il 28% delle entrate proviene da queste attività non convenzionali come anche internet. Solo qualche anno fa questa categoria rappresentava solo il 5% del nostro giro d'affari».
  CONTINUA ...»

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