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Quando Formica tentò la tassa sul lusso

di Maurizio Caprino

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Venerdí 30 Gennaio 2009

Il problema non è nuovo, ma la soluzione non è stata mai trovata. Individuare le auto di lusso, come il Governo vorrebbe fare per trovare più risorse per i prossimi incentivi, è impossibile e qualsiasi tributo di questo tipo finisce per colpire ingiustamente modelli più modesti, magari facendosene sfuggire altri che di lusso lo sono per davvero. Questa non è l'unica delle contraddizioni inevitabili in una manovra come quella che il Governo sta per varare.

Il primo tentativo di tassare le auto di lusso per rastrellare risorse che servivano con urgenza risale al 13 maggio '91 e fu di Rino Formica, allora ministro della Finanze. Col Dl 151, Formica istituì una sovrattassa sulle fuoristrada (all'epoca non esistevano le Suv), che finiva per colpire anche le Fiat Panda 4x4 perché si applicava a tutte le vetture a trazione integrale (comprese supersportive che non "digerivano" nemmeno il brecciolino più leggero). Avvertito dell'errore, il ministro restrinse l'applicazione della tassa ai soli modelli con più di cinque marce, ma anche all'epoca c'era qualche normale vettura da strada che non era di lusso e aveva sei marce. Non fu migliore la sorte dell'Ise, l'Imposta straordinaria erariale istituita sui beni di lusso nel '92 dal Governo Goria per l'anno '93 e tarata in base alla cilindrata del motore: generò un contenzioso che si trascinò per anni.

In tempi più recenti, l'icona dell'auto di lusso "politicamente scorretta" è stata ristretta alla categoria delle Suv, che emettono più Co2 di tutte le altre (perché consumano di più e la Co2 dipende solo da questo parametro). Così nel maggio 2006, appena entrato in carica come ministro dell'Ambiente del Governo Prodi, Alfonso Pecoraro Scanio propose una sovrattassa sulle Suv. Ma nessuno ha mai saputo delimitare questa categoria di vetture: Suv è solo una definizione commerciale, per giunta resa labile dal marketing sempre più complesso dei costruttori, tanto che già allora si parlava di crossover, modelli a metà tra Suv e station wagon, con qualche sconfinamento addirittura tra le coupé. Si potrà eccepire che basta trovare un parametro evidente e significativo, come per esempio il peso o il consumo.

Ma ci sono pur sempre padri di famiglie numerose che acquistano grandi monovolume o giardinette non di lusso, difficilmente differenziabili dalle auto per ricchi se non per il prezzo d'acquisto (che però non è un parametro facilmente gestibile in sede di applicazione di un'eventuale tassa). In ogni caso, le definizioni commerciali possono aiutare a capire quale potrebbe essere la platea di un'eventuale tassa sul lusso. Rispettando la tradizionale suddivisione in segmenti di mercato accettata da costruttori e centri studi, si vede che i modelli al top (segmento F, che racchiude quelli più costosi) nel 2008 sono stati venduti in appena 8.400 esemplari su un mercato totale di 2,1 milioni. Volendo allargare un po', si potrebbe considerare il segmento E (modelli come Bmw Serie 5 e Mercedes Classe E, grandi e di prestigio, ma non ammiraglie): si sfiorerebbe quota 70mila.

Un'altra importante contraddizione dei prossimi incentivi riguarda la loro natura ecologica, che molti desidererebbero per testimoniare il passaggio verso un'economia "pulita" e sostenibile, l'unica che creerebbe opportunità di crescita per uscire dalla crisi globale di questi mesi. Ma nell'auto ciò è impossibile: questi concetti si sposano solo con trazione elettrica, ibrida o a idrogeno, mentre per spingere il mercato occorre vendere le attuali Euro 4, che inquinano molto meno delle Euro 1 di 15 anni fa ma restano espressione del modo tradizionale di fare vetture e sul fronte della Co2 non fanno meglio. Né servirebbe promuovere solo le Euro 5: questo standard antinquinamento sarà completamente obbligatorio solo dal 2011 e oggi i modelli che lo rispettano sono ancora pochi. Spesso di lusso, per giunta.

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