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Il part-time fa la differenza

di Giorgio Pogliotti

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4 FEBBRAIO 2009

Hanno lo stesso salario degli uomini, ma solo sulla «carta». Aldilà di quanto previsto dai contratti, infatti, le dipendenti delle pubbliche amministrazioni guadagnano meno dei loro colleghi uomini. Sulla parte fissa della busta paga incide negativamente il maggior ricorso delle donne al part-time, la minore presenza in ufficio dovuta spesso all'assistenza di familiari ma-lati, al congedo parentale. Mentre nella parte variabile il differenziale è legato alla diversa distribuzione degli incarichi – quelli degli uomini "pesano" di più – e alla minore disponibilità delle donne a protrarre l'orario di lavoro, che provoca contraccolpi negativi su straordinari e indennità di produttività.

Le dipendenti pubbliche si assentano più spesso per motivi legati alle attività di cura familiare che non sono equamente ripartite tra i due sessi: è la difficile conciliazione tra lavoro e famiglia ad ostacolare la realizzazione professionale delle lavoratrici, penalizzandole a tutti i livelli. Il part-time – principale strumento a disposizione per unire la vita professionale e quella familiare – gioca un ruolo importante nei differenziali retributivi, avendo una connotazione prevalentemente femminile nella pubblica amministrazione (vi ricorre l'86% delle donne e il 14% degli uomini). Se le lavoratrici scelgono il part-time spesso per assistere i familiari, la scelta degli uomini il più delle volte è legata ad una seconda attività lavorativa.

Anche per l'accesso a posizioni di vertice esiste una sorta di «soffitto di cristallo», un muro invisibile che impedisce l'accesso alle donne. Lo dicono chiaramente le cifre elaborate dal conto annuale della Ragioneria dello Stato: nella scuola, settore tradizionalmente "rosa", le donne rappresentano il 77,29% del personale e il 47,15% della dirigenza. Anche nella sanità, dove le donne sono la maggioranza (62,16%), gli incarichi dirigenziali riguardano una minoranza di loro (37,70%). Nel comparto Regioni e Autonomie locali le donne rappresentano il 48,66% del personale e il 29,56% dei dirigenti. Eppure, in questo settore le donne superano gli uomini per il grado di istruzione sia nella specializzazione post laurea (51%), che nel possesso della laurea ( 56%) o del diploma di licenza media superiore (52%). Gli uomini sono, invece, la maggioranza tra quanti possiedono la sola licenza di scuola dell'obbligo (62%). Analogamente nei ministeri, la quota femminile rappresenta il 50,86% dei dipendenti, fermandosi al 37,67% tra i dirigenti.
In assenza di rilevazioni sul differenziale salariale di genere nelle pubbliche amministrazioni, è utile la lettura di un'analisi sul ministero dell'Economia, condotta da Silvia Genovese, Maria Cristina d'Angiò e Simona di Rocco, relativa al triennio 2003-2006. Nel 2006 le donne erano il 53,17% dei dipendenti e il 29,20% dei dirigenti. La retribuzione media lorda è stata di 30.855 euro, ma gli uomini hanno percepito in media 33.521 euro, le donne 28.485, circa 5mila in meno (-15,02%).

Le donne hanno avuto maggiori decurtazioni dello stipendio anche perchè si sono assentate in media 13 giorni in più degli uomini. Nel 18,7% dei casi le assenze sono dovute a maternità, congedi parentali e assistenza alla famiglia (contro il 3,2% degli uomini). Il "pay gap" è più accentuato tra il personale dirigente, non solo per la maggiore anzianità dei maschi, ma per «le condizioni sfavorevoli all'accesso delle donne a posizioni di vertice occupate in prevalenza da uomini».

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